Le sanzioni tributarie sono applicate in tutti i casi in cui il contribuente commette una violazione in modo consapevole, ovvero a titolo di dolo (rappresentazione e volizione) o a titolo di colpa (consapevolezza di violare la norma bilanciata dalla certezza di evitare l’evento). Per l’esclusione della responsabilità, l’autore del fatto è chiamato a provare la propria ignoranza incolpevole, da intendersi quale non conoscenza, non superabile con l’ordinaria diligenza dei presupposti della fattispecie. Tale onere probatorio, chiarisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12901 depositata il 15 maggio 2019, ricade sul contribuente e non può essere rilevato d’ufficio. IL FATTO Un contribuente si avvaleva del condono tombale, disciplinato dall’art. 9 della legge n. 289/2002, in forza del quale si impegnava a versare l’importo calcolato suddiviso in una serie di rate. Tuttavia, corrispondeva soltanto la prima rata, non rispettando il piano formalizzato nell’istanza di condono. L’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione il dovuto, applicando anche le relative sanzioni a norma del D.Lgs. n. 472/1997. Il provvedimento era immediatamente impugnato innanzi alla Commissione tributaria provinciale. Il contribuente in particolare, ritenendo responsabile dell’inadempimento il proprio consulente che aveva curato il perfezionamento del condono chiedeva di non essere sanzionato. La CTP accoglieva le doglianze. La decisione veniva, però, ribaltata in secondo grado dai giudici di appello, che diversamente dai primi, ritenevano fondata la pretesa fiscale e legittime le sanzioni irrogate. Avverso tale sentenza, la difesa del contribuente proponeva ricorso in Cassazione per sostenere, fra i vari motivi l’assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, quale presupposto per l’applicazione delle sanzioni a carico del contribuente, peraltro non rilevata d’ufficio dai giudici di merito. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. In particolare, i giudici di legittimità asseriscono che l’onere probatorio relativo all’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, ricade sull’autore del fatto e non può essere rilevato d’ufficio, attesa la presunzione di colpevolezza derivante dall’accertamento dell’evento illegittimo da parte dell’amministrazione. Le sanzioni, prosegue la Corte, sono legittimamente applicate e riscosse ogni qual volta la fattispecie illecita si è perfezionata, mediante la realizzazione del fatto in maniera consapevole. La predetta responsabilità, che sussiste anche nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso da un terzo, quale l’intermediario configurando la “culpa in vigilando” a carico del contribuente su cui grava un onere di vigilanza, incontra come unico limite l’ignoranza incolpevole. Si tratta di uno stato di non conoscenza dell’esistenza e, in conseguenza della realizzazione della fattispecie illecita, nel quale si deve trovare l’autore dell’illecito, che non può essere superato dallo stesso con l’uso dell’ordinaria diligenza. Nel caso di specie il contribuente dopo aver versato la prima rata del condono tombale, si asteneva dal pagamento delle altre, asserendo a sua discolpa che l’intera pratica fosse stata inoltrata dall’intermediario a sua insaputa. Da qui il rigetto del ricorso.