L'IMU versata sugli immobili strumentali è totalmente indeducibile dall'IRAP. Lo ha chiarito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 21 del 2024. La questione oggetto di intervento della Consulta offre interessanti spunti di riflessione in ordine alla “sopravvenuta” questione della indeducibilità integrale dell’IMU dall’IRAP. Sotto questo profilo, dalla lettura complessiva della sentenza, al di là dell’affermazione della compatibilità costituzionale delle norme oggetto di vaglio, sembra emergere, in generale, quasi un fumus della correttezza della questione tuttavia non palesabile in quanto non esaurientemente esplicitato dalle ordinanze di remissione che avevano il difetto evidenziato dalla Corte di essere fondate unicamente sul parallelismo con la sentenza n. 262 del 2000 (di cui era stato relatore lo stesso Giudice Antonini) non applicabile all’IRAP stante la diversità ontologica tra le due imposte. Le ordinanze di remissione e le disposizioni costituzionali interessate I giudizi di legittimità costituzionale hanno riguardato l’art. 14, comma 1, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), come sostituito dall’art. 1, comma 715, legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di Stabilità 2014), e sono tati promossi dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Como, dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Genova e dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Torino, con ordinanze del 17 gennaio 2023, del 7 dicembre 2022 e del 15 settembre 2023, iscritte, rispettivamente, ai numeri 34, 38 e 154 del registro ordinanze 2023. La Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di Giustizia tributaria di Torino e respinto, ma per inammissibilità, le obiezioni sulla deducibilità solo parziale dell’IMU dall’IRES, in vigore con percentuali di sconto crescenti dal 2012 al 2019, avanzate dalle Corti di Giustizia tributaria di Como e di Genova. Tutte le tre ordinanze di rimessione evidenziano che le questioni sono sorte nel corso dei rispettivi giudizi promossi dalle società ricorrenti in conseguenza del silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate sulle istanze di rimborso da esse presentate per diversi anni di imposta relative alla maggiore IRES che sarebbe stata versata a causa del regime di deducibilità solo parziale dall’IRES dell’IMU sui beni strumentali. Solo due delle ordinanze di rimessione (la n. 34 e la n. 154), prospettano, con riferimento alle istanze di rimborso della maggiore IRAP versata a causa del regime di totale indeducibilità dell’IMU sui beni strumentali, l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2011, nella parte in cui prevede che “la medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive”, per contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost. I giudici rimettenti, con motivazioni sostanzialmente analoghe, evidenziano, in riferimento all’indeducibilità integrale dell’IMU dall’IRES, che la norma censurata violerebbe: a) l’art. 53 Cost., sotto il profilo della capacità contributiva, perché la spesa per il pagamento dell’IMU sui beni strumentali dovrebbe essere considerata un costo certo e inerente alla produzione del reddito; b) l’art. 53 Cost., sotto il profilo del divieto della doppia imposizione per la duplicazione dell’imposta sul medesimo presupposto; c) gli articoli 3 e 53 Cost., con riferimento al principio di ragionevolezza, data la mancanza di coerenza con la struttura del presupposto dell’IRES; d) l’art. 3 Cost., per l’impatto sull’equità orizzontale; e) l’art. 41 Cost., perché risulterebbe penalizzata la scelta dell’impresa di investire gli utili nell’acquisto degli immobili strumentali. Le ordinanze di rimessione iscritte ai numeri 34 e 154 reg. ord. 2023 argomentano invece anche in ordine all’indeducibilità integrale dell’IMU dall’IRAP. Il ragionamento dei rimettenti, anche su questo punto, prende le mosse dalle motivazioni poste a base della sentenza n. 262/2020, che, sebbene limitate alla questione della deducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES, sarebbero da riferire anche all’IRAP. Da questa prospettiva le due ordinanze di remissione affermano che la norma censurata, nel prevedere la totale indeducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali dalla base imponibile IRAP, violerebbe: - l’art 53 Cost., poiché prevedere l’indeducibilità dell’IMU ai fini IRAP significherebbe assoggettare a imposizione una ricchezza non realmente realizzata, ma imputata al contribuente, per mera fictio iuris per effetto della mancata considerazione - nelle rispettive basi imponibili - di un costo inerente all’esercizio dell’attività di impresa (rappresentato dall’IMU pagata sugli immobili strumentali); - l’art. 3 Cost., poiché l’indeducibilità dell’IMU ai fini IRAP determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti sulla base dei diversi fattori della produzione utilizzati. Sotto il profilo del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, si realizzerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento, a parità di risultati economici o di valore della produzione, in quanto assoggettati ad un differente e più gravoso onere impositivo ai fini IRAP, esclusivamente sulla base dei diversi fattori della produzione impiegati per raggiungere il medesimo risultato economico; - l’art. 41 Cost., con riguardo al principio di libertà di iniziativa economica privata, in quanto la norma censurata finirebbe per penalizzare ingiustificatamente, ai fini IRAP, la scelta imprenditoriale di sostenere costi per l’acquisto di immobili strumentali, senza che siano rinvenibili “differenze qualitative apprezzabili” del costo in esame rispetto alla generalità dei costi deducibili, in base alla disciplina generale dell’IRAP. L’analisi della Corte sulla diversa costruzione della base imponibile L’IRAP è stata oggetto già di diversi interventi della Corte che ne ha vagliato la coerenza con il principio di capacità contributiva in generale. Ed è proprio alla sentenza n. 156 del 2001 che la Corte si richiama nell’evidenziare come il legislatore “ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate”. L’imposizione è quindi fondata su “un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione”. Ciò che rileva, comunque, ai fini della decisione è la peculiarità del meccanismo di determinazione della base imponibile, che essendo diversa dal reddito non soggiace al principio di inerenza valorizzato proprio dalla sentenza n. 262 del 2020. Il “valore della produzione netta” assume un carattere del tutto diverso da quello del “reddito netto”, perché nell’IRAP la determinazione della base imponibile è effettuata attraverso un criterio di “sottrazione”, da cui viene però escluso un consistente insieme di voci (in particolare articoli 5, commi 1 e 3, e 11). Ed è proprio in questa differenza sostanziale che non può essere accoglibile il principio di inerenza dal momento che alcuni costi necessariamente inerenti e deducibili per quest’ultima grandezza non sono considerati scorporabili o deducibili per la prima. Per quanto qui di interesse la peculiare costruzione della base imponibile ricomprenderebbe anche l’IMU nei costi da considerare in base al principio contabile OIC 12. Tuttavia, osta all’indeducibilità l’espressa previsione dell’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 446/1997 a seguito dell’introduzione e poi abrogazione dell’art. 11-bis e la coerente e susseguente censurata previsione del D.Lgs. n. 23/2011, che ha stabilito la totale indeducibilità dell’IMU dall’IRAP. I difetti di motivazione delle ordinanze di rimessione e l’inapplicabilità dei principi sanciti dalla sentenza n. 262/2020 La Consulta afferma, a giusta misura che la diversità “della natura dei due tributi, dei loro presupposti, delle specifiche basi imponibili e delle precipue discipline evidenzia come le medesime argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 262 del 2020 non possano essere estese all’IRAP”. Questo è in estrema sintesi il fondamento della decisione di non fondatezza delle questioni sollevate nelle ordinanze di remissione che, da quanto la Corte afferma, si sono concentrate più sulla similitudine della acclarata illegittimità disposta dalla sentenza n. 262/2000 che sulla dimostrazione della effettiva incompatibilità del quadro normativo che prevede l’indeducibilità dell’IMU nel calcolo dell’IRAP. Sul punto è significativa l’affermazione della Corte secondo cui “le due ordinanze di rimessione, infatti, hanno motivato i dubbi di legittimità costituzionale come se le questioni attinenti alle norme da esse censurate fossero esattamente identiche - o si differenziassero solo per aspetti meramente marginali - a quelle decise con la sentenza n. 262 del 2020, alle cui motivazioni si richiamano diffusamente, ora in maniera implicita, ora esplicitamente, pretendendo poi di traslarle pedissequamente in riferimento alla deducibilità parziale al 20 per cento, che era l’oggetto dei relativi giudizi”. Anziché motivare autonomamente il dubbio di legittimità costituzionale (sentenza n. 186 del 2023), si sono solo limitate, in sostanza, ad affermare, nei medesimi termini tautologici […]”. In buona sostanza, la Corte conclama il difetto di motivazione delle ordinanze di remissione non sanabile dalle successive esposizioni delle parti in ordine alla portata processuale del passaggio finale della sentenza n. 262/2020 dichiarando la questione inammissibile per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza. Infine, la Corte ritiene inammissibile la palesata eccepita violazione dell’art. 3 Cost. che è stata motivata unicamente asserendo la “ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti che, a parità di valore della produzione, sono assoggettati ad un differente e più gravoso onere impositivo esclusivamente sulla base dei diversi fattori della produzione utilizzati”. In questi termini, l’argomentazione alla Corte appare del tutto generica, poiché omette di indicare in base a quali elementi possa ritenersi sussistere, nella disciplina dell’IRAP, l’ipotizzata disparità di trattamento sulla base dei diversi fattori della produzione utilizzati, che peraltro non vengono specificati, e in che misura si verrebbe a determinare il differente e più gravoso onere impositivo. Conclusioni Le questioni affrontate dalla Corte appalesano la diversità ontologica dell’IRAP rispetto all’IRES evidenziando la peculiarità dell’IRAP quale imposta “controversa” oggetto di un progressivo svuotamento - dal momento che il legislatore a decorrere dal 2021 ha previsto che l’IRAP non è dovuta dalle persone fisiche esercenti attività commerciali ed esercenti arti e professioni - e di un “graduale superamento” - con le disposizioni che in tal senso delegano al Governo della legge delega (art. 8, comma 1, lettera a, legge 9 agosto 2023, n. 111 - Delega al governo per la riforma fiscale). Forse alla fine un parallelismo con la sentenza n. 262 del 2020 potrebbe essere individuato proprio in quella parte in cui la Corte ha comunque ritenuto che non sussistano i presupposti per estendere il giudizio alle disposizioni successive, dal momento che il legislatore si è gradualmente corretto come oggi, in effetti, sta avvenendo con il graduale superamento del prelievo previsto dalla delega fiscale.