Corte Costituzionale - Sentenza n. 173 del 29 luglio 2020 È da escludersi l'applicazione delle sanzioni qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, emerga la volontà di non occultare il rapporto di lavoro. E’ quanto dichiara la Corte Costituzionale nella sentenza n. 173 del 29 luglio 2020. IL FATTO La Corte d’appello di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nella parte in cui non prevede che la disposizione da esso introdotta si applichi anche ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. Il caso riguarda il ricorso contro una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 6.150 comminata ad una amministratrice di una società in accomandita semplice, per aver impiegato un lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria; violazione accertata l’8 febbraio 2007. L’opposizione veniva accolta dal giudice di primo grado, in ragione del fatto, emerso nel corso del giudizio, che in data antecedente all’ispezione dalla quale era conseguita l’irrogazione della sanzione, l’opponente aveva effettuato la denuncia nominativa obbligatoria del lavoratore all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). La norma censurata violerebbe: - l’art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi in contrasto con il principio di retroattività della legge penale più favorevole; - l’art. 3 Cost., in quanto l’inapplicabilità della disposizione censurata, benché più favorevole, ai fatti anteriormente commessi, risulterebbe irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza, non trovando giustificazione in esigenze di salvaguardia di valori di pari rango, rispetto a quello tutelato dal principio di retroattività della lex mitior. LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte Costituzionale rileva innanzi tutto che la norma è censurata nella parte in cui, nel prevedere che le sanzioni amministrative pecuniarie di cui al comma 3 dello stesso art. 3 del d.l. n. 12 del 2002, concernenti l’impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, «non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione», non stabilisce che tale disposizione si applichi anche ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. La Corte Costituzionale evidenzia inoltre che: - il lavoratore, per poter essere considerato «irregolare», non doveva «risultare» come tale né dalle «scritture» obbligatorie né da «altra documentazione obbligatoria»; - la “maxisanzione” non poteva essere applicata ove da adempimenti obbligatori, precedentemente assolti, emergesse la volontà di non occultare i rapporti di lavoro. In sostanza dall’analisi dell’attuale normativa e della prassi, emerge che la sanzione prevista nei casi di “lavoro sommerso”, sia ora collegata in modo specifico alla mancata effettuazione della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, e non più genericamente al fatto che il lavoratore non risulti da «scritture o altra documentazione obbligatoria». Nell’ottica di limitare la rilevante sanzione comminata agli illeciti di carattere sostanziale, e non meramente formale, si prevede, dunque, che, “in difetto della comunicazione obbligatoria al centro per l’impiego, la preventiva effettuazione di adempimenti di tipo contributivo valga, comunque sia, a rendere inoperante la sanzione stessa, in quanto rivelatrice della volontà del datore di lavoro di non tenere celato il rapporto lavorativo”. In questa prospettiva la Corte Costituzionale dichiara dunque le questioni inammissibili.