Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato ha natura di contratto atipico per via dell’apposizione di un termine alla durata della prestazione svolta dal dipendente. Ciò nondimeno, datore di lavoro e lavoratore, stipulando questa tipologia di contratto, sono tenuti a rispettare la scadenza concordata. Vediamo dunque cosa accade qualora una delle parti abbia l’esigenza o la necessità di risolvere anticipatamente il rapporto. Recesso anticipato dal contratto a termine Ai sensi dell’art. 2119 del Codice civile, il recesso anticipato rispetto alla data del termine contrattuale è ammesso solo se sussiste una giusta causa, ovvero: - da parte del datore di lavoro, quest’ultimo accerti una condotta del lavoratore talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; - da parte del lavoratore, in presenza di una situazione legittimante, tra cui, a titolo esemplificativo: il mancato pagamento delle retribuzioni, il mancato versamento della contribuzione obbligatoria, il demansionamento o il mobbing. In assenza di una giusta causa, il recesso anticipato dal contratto a tempo determinato può comportare un danno per chi ha subito il recesso. Alla luce delle sentenze giurisprudenziali che si sono consolidate nel tempo, un parametro utile per stabilire il risarcimento del danno emergente subito dal lavoratore in caso di recesso anticipato datoriale senza giusta causa è costituito dalle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se il contratto fosse arrivato a scadenza. Ai fini della legittimità della richiesta risarcitoria, il datore di lavoro è gravato dall’onere di dimostrare che l’interruzione improvvisa e anticipata del rapporto da parte del lavoratore ha causato un danno all’organizzazione produttiva (ad esempio: costi di formazione sostenuti, costi di selezione per la scelta del lavoratore e poi per la sua sostituzione, oppure, per casi di alta specializzazione, pregiudizio causato a un cliente dal recesso illegittimo). Un altro parametro di riferimento può essere costituito dall’importo dell’indennità di preavviso prevista per il contratto a tempo indeterminato. Risoluzione consensuale Al contratto a tempo determinato non è applicabile nemmeno la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, mentre, resta ferma la possibilità di risolvere consensualmente il rapporto. Il datore può recedere, inoltre, per impossibilità sopravvenuta, con cui si intende il verificarsi di un evento imprevedibile e non evitabile. In caso di recesso consensuale delle parti dal contratto di lavoro, il datore è tenuto a comunicare la cessazione del rapporto al Centro per l’impiego competente entro 5 giorni dalla risoluzione. In quali casi spetta la NASpI Ai fini della legittima spettanza della NASpI, lo stato di disoccupazione in cui si trova il lavoratore dev’essere involontario. Di seguito le casistiche in cui si realizza il diritto del lavoratore a percepire il trattamento: - licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo; - lavoratori che, a seguito del licenziamento, accettano l’offerta economica dell’azienda nell’ambito della “conciliazione agevolata”; - risoluzione consensuale del rapporto intervenuta in sede protetta presso l’Ispettorato territoriale del lavoro ovvero in ragione del rifiuto del dipendente di essere trasferito ad altra sede della stessa azienda, distante oltre 50 Km. dalla residenza o raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi di trasporto pubblici; - dimissioni per giusta causa, ricorrenti, ad esempio, nei casi di mancato pagamento della retribuzione, mobbing o molestie sessuali; - dimissioni nel periodo tutelato di maternità, decorrente da 300 giorni prima della data presunta del parto, sino al compimento del primo anno di vita del bambino. NASpI e risoluzione consensuale del contratto In caso di risoluzione consensuale del contratto, il lavoratore, ordinariamente, non ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI (D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22). La misura di sostegno al reddito, infatti, è garantita soltanto in caso di: - sottoscrizione del verbale in esito a una procedura obbligatoria di conciliazione, ex art. 7, della Legge n. 604 del 1966, presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente; in questo caso, il datore di lavoro è obbligato a pagare il contributo di licenziamento all’INPS, in misura pari al 41% del massimale mensile NASpI (che è pari a € 1.550,42 per il 2024) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, calcolato su base mensile; - accordo raggiunto in seguito al rifiuto del lavoratore di essere trasferito a una sede di lavoro distante più di 50 km. dalla propria residenza, ovvero mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici. In ogni caso, la NASpI a seguito di risoluzione consensuale non spetta nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia costituito da un’azienda che occupa meno di 15 dipendenti.