Lo schema di decreto legislativo recante interventi ai fini IRPEF e IRES (attuativo della legge n. 111/2023) approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 30 aprile, tra le tante novità, rivisita e aggiorna dal 1° gennaio 2025, le modalità per la quantificazione dei beni e servizi riconosciuti ai lavoratori da parte del datore di lavoro nell’ambito della politica dei fringe benefit. In particolare, viene ridisegnato in un’ottica di semplificazione, come determinare da un punto di vista fiscale (e previdenziale) il valore dei beni e servizi concessi o riconosciuti dal datore di lavoro, nel caso in cui questi siano oggetto della produzione o scambio dell’attività svolta dal datore stesso. La formulazione attuale Ai sensi dell’art. 51 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Secondo il principio di cassa allargato, si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono. Rientra pertanto nel concetto di reddito imponibile tutto quello che viene erogato a qualunque titolo al lavoratore sotto forma di denaro (somme) e beni e servizi (valori) nel periodo di imposta. Poiché la norma fa riferimento al valore, ai fini della quantificazione dei beni in natura, il comma 3 dell’art. 51 TUIR precisa che “si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’art. 9.”Art. 9 co. 3 citato del TUIR che per valore normale del bene e servizio intende: - il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari rispetto a quello per il quale si deve determinare l’ammontare in denaro; - il prezzo in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione; - il prezzo nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. In parziale deroga ai criteri dell’art. 9, la norma sopra riportata prevede che “Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”. In commento alla predetta norma, la circolare del Ministero delle finanze n. 326/E/1997 ha precisato che: - si dovrà fare riferimento ai listini dell’azienda ma soltanto a quelli applicati nelle vendite ai grossisti e non si potrà tenere conto degli sconti d’uso (in quanto non richiamati nel comma 3 dell’art. 51, diversamente da quanto invece stabilito, in generale, dall’art. 9); - la previsione è applicabile soltanto ai dipendenti delle aziende che producono beni e che effettuano cessioni ai grossisti, o all’ingrosso e al dettaglio, restando esclusi i dipendenti di: artisti o professionisti; aziende che producono beni per la vendita soltanto al dettaglio; aziende che producono servizi; aziende che effettuano soltanto commercializzazione dei beni; Si ricorda che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente, anche nel caso dei beni prodotti dall’azienda e ceduti gratuitamente al dipendente, mentre se per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme (con il sistema del versamento o della trattenuta), è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio. Le nuove regole dal 1° gennaio 2025 Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri del 30 aprile 2024, riformula parzialmente l’art. 9 co. 3 del TUIR ma dal 1° gennaio 2025. Resta inalterata l’attuale formulazione del 1° periodo (per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi) ma si interviene nel secondo periodo andando a prevedere che in deroga al periodo di cui sopra, il valore dei beni e servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività del datore di lavoro e ceduti ai dipendenti è determinato in base al prezzo mediamente praticato nel medesimo stadio di commercializzazione in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi a favore del lavoratore o, in mancanza, in base al costo sostenuto dal datore di lavoro Provando a schematizzare: - la regola generale è che il valore normale è il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie in condizione di libera concorrenza; - qualora l’attività svolta dal datore di lavoro sia finalizzata alla produzione o scambio degli stessi beni e servizi ceduti o concessi al lavoratore, il loro valore ai fini reddituali è stabilito avendo a riferimento il prezzo mediamente praticato nel medesimo stadio di commercializzazione o in mancanza, in base al costo sostenuto dal datore di lavoro. Limite esenzione di beni e servizi: nessuna novità per il 2025 La formulazione attuale prevista dall’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 51, infine, contempla un’ipotesi di esclusione dalla formazione del reddito imponibile quando il valore complessivo dei beni e servizi ricevuti dai dipendenti sia di modesto valore. Difatti, non concorre a formare il reddito del dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23 mentre se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito. Con lo schema di decreto legislativo approvato, viene esclusivamente “formalizzata” la conversione del valore da lire (500.000) ad euro (258,23). Nessuna modifica, pertanto, al valore massimo di esenzione ammesso che resta confermato a 258,23 euro su base annua. Salvo eventuali proroghe, al 31 dicembre 2024 verrà meno quanto previsto dalla legge di Bilancio 2024 che ha innalzato il limite di esenzione a 1.000 euro annui per tutti i lavoratori, ovvero a 2.000 euro annui ma per i lavoratori con figli a carico.