Con l'inedita risposta ad interpello n. 907–622/2023 l'Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Veneto ha fatto ulteriore chiarezza sul tema dei "compensi reversibili" (artt. 50 e 51, d.P.R. n. 917/1986 (Tuir) ed artt. 23 e 24, d.P.R. n. 600/1973), estendendo la disciplina recentemente tratteggiata con riguardo agli amministratori anche al caso del riversamento di quota parte del reddito di lavoro dipendente corrisposto da società italiana. Infatti, solo con la risposta ad interpello n. 330, pubblicata il 22 maggio 2023, l'Amministrazione finanziaria a livello centrale aveva finalmente affermato che i compensi reversibili pagati da una società italiana ad un amministratore, con obbligo di riversamento a favore di una società del gruppo non residente, sono regolati a livello convenzionale dalle disposizioni dell'art. 7 del Modello OCSE. Così, superando precedenti, ondivaghe impostazioni, tra cui va rammentata la risposta ad interpello Agenzia delle Entrate n. 167/2019. Conseguentemente, i compensi in parola sono assoggettati a tassazione nel solo Stato estero di residenza della società beneficiaria, nella misura in cui questa non abbia stabile organizzazione in Italia, e su di essi non vi è l'obbligo a carico della società italiana che materialmente li corrisponde di applicare alcuna ritenuta. Brevissimi cenni alla disciplina tributaria Prima di esaminare il caso concreto, giova richiamare la cornice normativa del Tuir rilevante. Per quanto riguarda gli amministratori (trattasi di approfondimento non trascurabile, dal momento che – come già accennato – le fattispecie trattate dall'Amministrazione finanziaria antecedentemente all'interpello "de quo" hanno proprio questo oggetto), i redditi derivanti dall'esercizio dell'ufficio di amministratore sono inquadrabili tra quelli di cui all'art. 50, co. 1, lettera c-bis), del Tuir, secondo cui essi sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente. Tale qualificazione non muta, laddove l'incarico di amministratore venga rivestito da un lavoratore dipendente, secondo quanto disposto ancora dall'art. 50, stavolta dalla lettera b) del Tuir. La riconduzione dei compensi percepiti da un amministratore di società ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente non opera laddove gli stessi siano riversati al datore di lavoro: in questo caso infatti i compensi si qualificano quali componenti positivi che concorrono al reddito d'impresa della società (datore di lavoro) cui i compensi spettano, non della persona fisica che non ne entra mai in possesso. In questa direzione si è già da tempo espresso il Ministero delle Finanze che, con Nota n. 8/166 del 17 maggio 1977, ha riconosciuto che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all'IRPEF "i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione. E ciò in base al principio generale secondo cui non si configurano quale reddito imponibile di un soggetto le somme di cui egli non ottenga in alcun modo la disponibilità". Ciò a condizione che "risulti documentato l'effettivo riversamento alle società ed enti destinatari dei compensi medesimi" (cfr. anche Nota n. 8/196 del 1980). Per quanto concerne l'applicazione della ritenuta, l'art. 24, co. 1-ter, d.P.R. n. 600/1973, impone che sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a tiolo d'imposta nella misura del 30%. Tanto premesso, per quanto specificamente riguarda il personale dipendente, secondo l'art. 51, co. 2, lettera e), del Tuir non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili alle lettere b) ed f) del co. 1 dell'art. 50 del Tuir. In particolare, la lettera b) assimila ai redditi di lavoro dipendente le somme ed i valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro. Tale disposizione prevede espressamente che sono esclusi dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente solo i compensi che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro, i quali non costituiscono neppure redditi assimilati a quello dipendente. Invece, nulla viene detto con riguardo la quota parte di retribuzione di lavoro dipendente che viene riversata dalla società italiana alla capogruppo in forza di un'indicazione ricevuta dal dipendente. Infine, per quanto concerne la ritenuta: (i) l'art. 23, d.P.R. n. 600/1973, impone che sui redditi di lavoro dipendente vengano applicate le ritenute d'acconto secondo gli scaglioni INPS, indipendentemente dal fatto che le retribuzioni vengano corrisposte al dipendente o alla controllante estera e (ii) l'art. 24, d.P.R. n. 600/1973 prevede che sulla parte imponibile dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 30%. Il caso di specie Vale ora ripercorrere, seppur succintamente, i tratti salienti del caso sottoposto all'Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Veneto. A seguito dell'ingresso, nella compagine partecipativa di una società industriale italiana, di un noto gruppo internazionale, si è registrata una necessaria integrazione tanto di business quanto di persone e competenze: di talché, alcune figure "chiave" del gruppo estero sono state inserite nell'organigramma della società italiana, al fine di creare sinergie anche nelle risorse umane, oltre che nei profili più squisitamente industriali. Tra queste figure, va considerata la posizione un soggetto già dipendente della società estera, successivamente assunto come dipendente dalla società italiana, senza che sia stata attuata alcuna procedura di distacco. Il dipendente ha trasferito la residenza in Italia, iscrivendosi all'anagrafe della popolazione residente e risultando in corso di ottenimento il permesso di soggiorno. In base alle procedure interne fissate dalla società estera per la gestione dei suoi espatriati, è previsto che: - gli espatriati rimangano dipendenti della società estera con destinazione all'estero e che venga corrisposta loro dalla stessa una retribuzione nella misura necessaria per coprire la contribuzione obbligatoria del paese di origine; - gli espatriati assumano una posizione di amministratore o dipendente presso la società controllata; - la società controllata provvederà a corrispondere all'amministratore e al dipendente una quota parte (rilevante) del compenso / retribuzione, mentre una restante parte verrà riversata alla capogruppo estera, previa emissione di una fattura. Ebbene, il soggetto oggi è dipendente della società estera ed anche della società italiana ed una parte della retribuzione corrisposta dalla società italiana, in virtù di un accordo di reversibilità, viene riversata direttamente alla capogruppo, senza che lo stesso ne entri mai in possesso. Fino ad ora, la controllata italiana nel riversare quota parte della retribuzione del dipendente alla capogruppo estera, procedeva con lo scomputo della ritenuta del 30% ai sensi dell'art. 24 co. 1-ter del d.P.R. 600/1973. Nella sostanza trattasi chiaramente di "compensi reversibili", in quanto seppur riferita all'attività prestata dal dipendente in favore della società italiana, quota parte della retribuzione viene riversata direttamente all'ente "di originaria provenienza" dello stesso, in base ad una indicazione fornita dallo stesso dipendente. La soluzione prospettata dal contribuente e pienamente accolta dall'Agenzia delle Entrate. Come già anticipato, un primo chiarimento importante si riscontra nella risposta n. 330/2023, secondo la quale i compensi reversibili pagati da una società italiana a un amministratore, con obbligo di riversamento a favore di una società del gruppo non residente, sono regolati a livello convenzionale dalle disposizioni dell'art. 7 del modello OCSE. Per l'effetto, le somme in esame sono assoggettate a tassazione nel solo Stato estero di residenza della società beneficiaria, nella misura in cui questa non abbia stabile organizzazione in Italia, e su di essi non grava alcuna ritenuta a carico della società italiana che in concreto li corrisponde. Ancor più nel dettaglio, il caso valutato dal Fisco nella riposta n. 330/2023 riguarda una società italiana nella quale un dipendente di una società estera del gruppo aveva assunto la carica di consigliere di amministrazione, con obbligo contrattuale di riversamento dei compensi a favore della società estera; di fatto, i compensi venivano versati direttamente alla società non residente, senza alcun transito materiale delle somme in capo all'amministratore. La conclusione dell'Agenzia delle Entrate è chiara: difettando lo stesso presupposto per l'esistenza di un reddito ai sensi dell'art. 1 del Tuir (ossia il possesso del reddito), l'amministratore non è tenuto a versare alcuna imposta, a prescindere dalla sua residenza. Per contro, il presupposto impositivo grava sulla società estera beneficiaria, la quale deve includere nel proprio reddito il compenso riversato. Tuttavia, risultando quest'ultima priva di una stabile organizzazione in Italia, la tassazione avviene in via esclusiva nell'altro Stato, in quanto l'art. 7 della Convenzione con l'Italia esclude, in linea con il modello OCSE, ogni potere impositivo in Italia in assenza di una stabile organizzazione ivi situata. La risposta ad interpello n. 330/2023 è di palmare rilievo in quanto l'Agenzia afferma in modo espresso che la qualificazione convenzionale dei compensi reversibili è da ricondurre all'art. 7 Modello OCSE. Movendo pertanto da tali assunti e calando questi principi al caso concreto, l'istante ha reputato che il principio fondante questa impostazione valorizzi il non possesso del compenso, che infatti transita direttamente dalla società italiana a quella estera, senza mai "passare" per la persona fisica e che la spesa sostenuta si riferisca ad una prestazione di servizi e non ad un compenso di lavoro dipendente e come tale da inquadrarsi nell'ambito dell'art. 7 della Convenzione. Pertanto, in assenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato della consociata estera, tale prestazione di servizi va tassata esclusivamente nello Stato di residenza non risultando applicabile né la ritenuta di cui all'art. 23, né quella di cui all'art. 24, co. 1-ter del d.P.R. n. 600/1973. Ebbene, proprio movendo dalla risposta n. 330/2023, con l'inedita risposta ad interpello n. 907–622/2023 l'Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Veneto, ha accolto integralmente la soluzione proposta dalla contribuente. Giova riportare, nel seguito, il passaggio fondamentale: "Si ritiene che i chiarimenti resi con la richiamata risposta ad interpello n. 330/2023 siano applicabili anche al caso di specie. Analogamente ai "compensi reversibili" dei consiglieri di amministrazione, la quota parte di retribuzione del sig. […] per la prestazione di manager presso la controllata italiana che, per espresso obbligo contrattuale, deve essere riversata alla capogruppo [estera], transita direttamente da una società all'altra senza mai entrare nel possesso della persona fisica. Si ritiene irrilevante, ai fini in questione, la circostanza per cui, per il periodo di espatrio, il sig. […] sia assunto a tempo determinato dalla […], continuando ad essere dipendente della controllante. Per le motivazioni sopra espresse, il sig. […] svolge la propria attività in […] su incarico della società datrice di lavoro [estera]. A motivo di ciò, la Scrivente concorda con la soluzione interpretativa fornita dall'istante nel considerare il compenso riversato direttamente alla capogruppo come prestazione di servizi inquadrabile nell'ambito dell'articolo 7 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e […]. Mancando il presupposto del possesso del reddito da parte del sig. […], è da escludere infatti che la fattispecie ricada nell'ambito del reddito di lavoro dipendente. Non risulta, pertanto, applicabile la ritenuta a titolo d'imposta del 30% di cui all'articolo 24, comma 1ter, del d.P.R. 600/1973". Conclusioni Non si può che salutare con favore questo ulteriore pronunciamento dell'Amministrazione finanziaria, in quanto condivisibilmente fondato su un approccio sistematico e sostanzialista del concetto di "reddito" ed avente come punto di caduta una significativa semplificazione dal punto di vista tributario ed amministrativo. Infatti, in un contesto di sempre maggiore internazionalizzazione e in considerazione dell'intensificarsi dei fenomeni di work mobility, tale risposta fornisce maggior chiarezza, con ciò rendendo meno farraginosi i rapporti tributari ed economici tra i soggetti interessati.