La Norma di comportamento n. 225 dell’AIDC fornisce indicazioni in tema di determinazione della base imponibile dei redditi di capitale percepiti da società ed enti commerciali residenti in altri stati dell’Unione europea. I redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti, compresi quelli realizzati nell’esercizio di attività commerciale non riferibili ad una stabile organizzazione in Italia, sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta prevista dall’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973. L’art. 151, comma 1, TUIR stabilisce, infatti, che il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato. Il successivo comma 2 precisa che ai fini dell’individuazione dei redditi che si intendono prodotti nel territorio dello Stato occorre fare riferimento all’art. 23 del TUIR. Tale norma, al comma 1, lettera b), considera prodotti in Italia i redditi di capitale, tra i quali sono inclusi gli interessi, corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e degli altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali. Nel caso in cui il debitore residente si qualifichi come sostituto d’imposta, la tassazione degli interessi avviene con l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Sono tuttavia previste ipotesi di esenzione e riduzione della tassazione per disposizioni normative interne, in ragione di eventuali accordi internazionali conclusi dall’Italia o, ancora, ricorrendone i presupposti, in applicazione della direttiva n. 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi. Nella prospettiva dell’ordinamento dell’Unione, l’applicazione agli interessi percepiti dai non residenti di una ritenuta alla fonte costituisce una potenziale restrizione alla libera prestazione di servizi che tuttavia può essere giustificata da motivi imperativi d’interesse generale quali, ad esempio, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta L’applicazione del principio di proporzionalità implica che, anche nel caso della tassazione degli interessi, deve essere rispettato il principio di libera prestazione di servizi. Quindi, per evitare che l’applicazione della ritenuta agli interessi percepiti dai soggetti non residenti produca un effetto discriminatorio rispetto ai percettori residenti, circostanza che comporterebbe un’evidente restrizione alla libera prestazione di servizi, è necessario che sia consentito anche ai primi di dedurre le spese professionali direttamente connesse alla produzione degli interessi stessi. Non è possibile giustificare l’applicazione della ritenuta al lordo delle spese professionali perché ai non residenti viene applicato un tasso d’imposta più favorevole di quello applicato ai residenti. Il diritto alla deduzione da parte del percettore non residente, esercitato attraverso la richiesta di parziale rimborso all’Amministrazione finanziaria delle ritenute subite sull’importo lordo degli interessi, trova applicazione anche nell’ipotesi di inapplicabilità dell’esenzione prevista della direttiva n. 2003/49, al di fuori dei casi di accertamento dell’esistenza di una frode o di un abuso ai sensi dell’art. 5 della direttiva stessa. Sul punto occorre osservare, tra l’altro, che il diniego al rimborso, espresso o tacito, potrà essere oggetto di impugnazione.