La beneficenza realizzata attraverso la destinazione dei proventi della vendita dei prodotti deve rispondere a esigenze di trasparenza e di correttezza delle informazioni. Ciò è necessario, non solo per garantire l’effettiva destinazione dei fondi a chi è meritevole di aiuto e di solidarietà, ma anche per scoraggiare disinvolte e ciniche operazioni di vendita sostenute da inveritiere comunicazioni circa la destinazione di fondi a istituzioni e/o ad opere filantropiche. Tali comunicazioni, infatti, possono diventare una leva molto persuasiva all’acquisto da parte di categorie di acquirenti mosse da ragioni etiche e, quindi, paradossalmente l’annuncio della destinazione per scopi liberali risulta funzionale non alla beneficenza, ma alla vendita. Per evitare l’effetto di pregiudizio della concorrenza a causa di comunicazioni scorrette relative allo scopo di beneficenza perseguito con la vendita di beni, il consiglio dei ministri del 25 gennaio 2024, anche sollecitato da fatti incresciosi di cronaca, ha licenziato un disegno di legge recante “disposizioni in materia di destinazione di proventi derivanti dalla vendita di prodotti”, che passa ora al vaglio del Parlamento. Cosa prescrive il Ddl beneficenza Lo schema del provvedimento è incentrato su obblighi di disclosure relativi a quanto va effettivamente in beneficenza a favore dei consumatori, sotto la vigilanza dell’autorità amministrativa di settore (AGCM), cui sono attribuiti poteri sanzionatori pecuniari e anche inibitori. Quali sono le criticità della norma L’impianto dell’articolato contiene, peraltro, alcuni vistosi buchi nella rete, che si passa ad analizzare. Chi beneficia del regime di trasparenza L’articolo 2 del disegno di legge enuncia a favore dei consumatori il diritto di ricevere dai da produttori e dai professionisti un'adeguata informazione circa la destinazione in beneficenza di una parte dei proventi della vendita di un prodotto. Pertanto, lo speciale regime di trasparenza riguarda solo i consumatori e i contratti di vendita. Vi è da chiedersi, pertanto, se siano regolati rapporti intrattenuti con soggetti non aventi la qualifica di “consumatori” e, allo stesso modo, se siano compresi nell’ambito di applicazione del provvedimento i rapporti, anche con consumatori, non qualificabili come contratti di vendita. A tale ultimo riguardo, occorre rammentare che l’art. 45, c. 1, lett. e), D.Lgs. n. 206/2005 (codice del consumo) definisce come "contratto di vendita” qualsiasi contratto “in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore, inclusi i contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi”. Stando alla lettera della disposizione, rapporti giuridici diversi dalla vendita e quelli che coinvolgono soggetti non appartenenti alla classe dei consumatori sfuggono alla nuova disciplina. Qualora il legislatore ritenesse di ampliare gli ambiti oggettivi e soggettivi di applicazione della norma dovrebbe adeguare la formulazione letterale: ciò anche in considerazione della necessità di rispettare il principio di tassatività del precetto assistito da sanzioni. Cosa viene destinato in beneficenza Altro infortunio nella scrittura della disposizione sta nella parte in cui si riferisce testualmente solo al caso in cui sia destinata in beneficenza “una parte” dei proventi della vendita di un prodotto. Salvo considerare inibita la possibilità della destinazione della integralità dei proventi, circostanza questa che per quanto difficile a realizzarsi non può essere esclusa a priori, la disposizione è da intendersi altresì riferita alla eventualità di destinazione in beneficenza di tutti i prodotti. Qual è la definizione di beneficenza Sempre sul piano delle definizioni, la disposizione dà per scontato il significato del termine “beneficenza”, il quale deve, pertanto, essere inteso nel senso più ampio possibile, così da dilatare opportunamente la trasparenza nelle comunicazioni al mercato e impedirne un ridimensionamento approfittando di eventuali sfumature linguistiche. Quali sono gli obblighi di trasparenza per le imprese Proseguendo, la disposizione in esame (articolo 2 dello schema di ddl) obbliga i produttori o i professionisti a riportare sulle confezioni dei prodotti le seguenti indicazioni: a) il soggetto destinatario dei proventi della beneficenza; b) le finalità a cui sono destinati i proventi della beneficenza; c) l’importo complessivo destinato alla beneficenza, se predeterminato; ovvero, nel caso in cui non lo sia, la quota percentuale del prezzo di vendita o l’importo destinati alla beneficenza per ogni unità di prodotto. Come comunicare le informazioni di trasparenza Le comunicazioni finalizzate alla trasparenza devono essere realizzate in diverse forme e con diversi destinatari. In dettaglio: 1) le comunicazioni devono essere riportate sulle confezioni dei prodotti; 2) le stesse vanno inserite nell’ambito delle pratiche commerciali e in particolare nelle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità del prodotto (medesimo obbligo è previsto per i soggetti che svolgono attività di pubblicità del prodotto); 3) le medesime informazioni vanno comunicate all’Autorità garante della concorrenza e del mercato prima di porre in vendita i prodotti. Al fine di evitare che il supporto, che materialmente porta la comunicazione, possa determinare espressioni sintetiche in probabile e deprecabile contraddizione con la regola della effettività del disvelamento delle informazioni, è opportuno prevedere forme di informazioni per gradi e/o multilivello, con un primo livello sintetico e successivi livelli arricchiti con maggiori approfondimenti. Un conto è la comunicazione tramite etichette, altro è quella dei passaggi pubblicitari e altro ancora è quella delle comunicazioni alle autorità di controllo. In ogni caso, se il primo livello è di immediata percezione sul mercato anche i livelli arricchiti devono essere appannaggio dei soggetti acquirenti. Per completezza nell’illustrazione del disegno di legge, si riferisce che esso stabilisce che all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il produttore o il professionista debbano comunicare il termine entro cui sarà effettuato il versamento dell’importo destinato alla beneficenza e, successivamente, entro tre mesi dalla scadenza del termine, il versamento dell’importo destinato alla beneficenza. L’interpretazione della disposizione, maggiormente coerente con la ratio della norma, richiede che la comunicazione del versamento dell’importo comprenda anche l’indicazione dell’importo effettivamente versato e non solo la descrizione di avere versato, senza il dettaglio della cifra. Quali sono le sanzioni amministrative Il disegno di legge si chiude, previa clausola di riserva dell’applicazione di eventuali sanzioni penali, con la disciplina sanzionatoria amministrativa, affidata all’AGCM e sviluppata su più profili. Un primo profilo è quello pecuniario: salvo che il fatto costituisca una pratica commerciale scorretta, la violazione delle speciali disposizioni relative agli obblighi informativi è punita con la sanzione amministrativa da 5 mila a 50 mila euro. Un secondo profilo attiene ad aspetti reputazionali: l’AGCM pubblicherà, anche per estratto, i provvedimenti sanzionatori adottati su una apposita sezione del proprio sito internet istituzionale, sul sito del produttore o del professionista destinatario della sanzione, su uno o più quotidiani, nonché mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all'esigenza di informare compiutamente i consumatori a cura e spese del produttore o del professionista. La violazione delle disposizioni sulla pubblicazione degli atti sanzionatori riporta ad un piano pecuniario, essendo applicabile una sanzione contenuta nella medesima fascia edittale già indicata. Per orientare l’AGCM nella determinazione in concreto della sanzione, il ddl richiama i seguenti parametri: - prezzo di listino di ciascun prodotto; - numero delle unità poste in vendita; - aumento fino a due terzi nei casi di maggiore gravità, diminuzione fino a due terzi nei casi di minore gravità. Scattano profili inibitori, infine, in caso di reiterazione della violazione (sospensione dell'attività per un periodo da un mese a un anno) nonché in relazione a situazioni riconducibili a quanto previsto dall’articolo 27 del codice del consumo. Va, infine, rilevato che le criticità sostanziali rilevate a proposito degli obblighi informativi hanno ricadute anche sul procedimento sanzionatorio (in particolare con riferimento alla ricostruzione degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito).