La materia degli appalti e dei subappalti di opere e servizi è stata sempre oggetto di particolare attenzione da parte del Legislatore perché, sovente, attraverso la riduzione dei costi realizzati in gran parte sui compensi dei lavoratori e sulla sicurezza, si giunge a forme di sfruttamento dei lavoratori ed a condotte che rientrano nell’ambito di applicazione del codice penale. Indubbiamente, si tratta di una materia scottante sol che si pensi (senza andare a discettare su somministrazione fraudolenta o illecita e su caporalato) come la Corte Costituzionale con la sentenza n. 254 del 6 dicembre 2017 abbia inteso tutelare sotto l’aspetto della responsabilità economica i lavoratori utilizzati in attività di decentramento produttivo, comunque denominate, chiamando a rispondere il committente delle eventuali richieste avanzate dagli stessi. CCNL applicabile negli appalti La legge di conversione del decreto PNRR (D.L. n. 19/2024, convertito in Legge n. 56/2024), riferendosi al CCNL da applicare ai lavoratori impegnati negli appalti e nei subappalti ha avuto il merito di correggere l’impostazione fornita dal Governo nel testo presentato all’esame delle Camere, stabilendo che “al personale impiegato spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto”. La norma ha un obiettivo ben preciso: il costo del lavoro non può essere un elemento su cui basare la concorrenza tra le imprese che puntano ad aggiudicarsi gli appalti ed, inoltre, la dizione “personale impiegato” fa sì che la stessa si applichi a tutti i lavoratori a prescindere dalla tipologia contrattuale (contratto a tempo indeterminato, contratto a tempo indeterminato, rapporto di apprendistato, contratto di somministrazione). E’, indubbiamente, facile pensare come la disposizione sopra riportata si riferisca ai titolari delle imprese che si sono aggiudicati l’appalto o il subappalto, ma la scelta, pur in presenza di un appalto genuino, non può essere indifferente per il committente che, a fronte di un CCNL non in linea con la norma, potrebbe essere chiamato in giudizio a rispondere di rivendicazioni economiche e normative riferite a quello che sarebbe dovuti essere il contratto collettivo da applicare. Per completezza di informazione si ricorda che la responsabilità del committente che, ai sensi del D.L. n. 25/2017, non può eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore o del subappaltatore, non trova applicazione: a) per le sanzioni civili di cui risponde soltanto il responsabile dell’inadempimento; b) per i crediti maturati dal personale non impiegato nell’appalto o nelle lavorazioni; c) per i committenti persone fisiche che non esercitano attività professionale o di impresa; Tale responsabilità, riferita agli appalti privati, viene meno trascorsi due anni dalla cessazione dell’appalto, mentre quella per eventuali debiti di natura previdenziale si estingue nei confronti degli Enti previdenziali negli ordinari termini prescrizionali, come ricordato, lo scorso anno, dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 28786, 28795 e 28809 del 17 ottobre 2023 che ha confermato un indirizzo amministrativo espresso sa dall’INPS che dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Appare, quindi, quanto mai opportuno, che il committente pretenda di conoscere quali sono i CCNL applicati dagli appaltatori e dagli eventuali subappaltatori. La formula adottata in sede di conversione, superando il concetto di “contratto maggiormente applicato”, risolve una serie di dubbi, atteso che, sarà possibile per l’appaltatore far riferimento al proprio contratto di settore sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale potendo, peraltro, riferirsi, se migliorativi, ad accordi di secondo livello, secondo la dizione espressa dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015 (quindi, anche aziendale). Per la verità la norma che si commenta parla anche di “zona” ma, forse, ci troviamo di fronte ad un refuso del parlamentare “amanuense” che ha scritto l’emendamento e che non ha provveduto a cancellare la parola presente nel vecchio testo: essa appare, in ogni caso, superflua, essendo possibile individuare il CCNL da applicare sulla scorta del settore di riferimento. I rischi per il committente Ma per il committente i rischi sono ancora maggiori qualora ci si trovi in presenza di un appalto non genuino ove, nella sostanza, ci si trova di fronte ad una intermediazione illecita di manodopera e dove almeno uno dei tre criteri individuati dall’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 (organizzazione dei mezzi in capo all’appaltatore, potere direttivo di competenza esclusiva dell’appaltatore, e rischio di impresa sempre riferito all’appaltatore), non sussiste. In questo caso, ferme restando le sanzioni specifiche individuate nell’accesso ispettivo degli organi di vigilanza, il personale viene accollato “in toto” a chi ha, effettivamente, fruito delle prestazioni (con diffida accertativa per crediti patrimoniali ex art. 12 del D.L.vo n. 124/2004, determinata dalle differenze retributive scaturenti dalla applicazione di un CCNL non “rappresentativo”): inoltre, l’art. 29 del D.L. n. 19/2024 prevede una sanzione di natura penale nei confronti sia del committente che dell’appaltatore pari ad 1 mese di carcere o, in alternativa, una ammenda di 60 euro per ogni lavoratore ed ogni giorno di intermediazione illecita. In ogni caso, ricorda il comma 5-quinquies del nuovo art. 18 del D.L.vo n. 276/2003, come modificato dall’art. 29 del D.L. n. 19/2024 “l’importo delle pene pecuniarie proporzionali previste dal presente articolo, anche senza la determinazione dei limiti massimi, non può, in ogni caso, essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000 euro”. La sanzione sopra riportata si applica anche al distacco ed alla somministrazione illecita. Allorquando quest’ultima diviene fraudolenta (ossia, finalizzata ad eludere norme di legge o di contratto collettivo inderogabili) la pena dell’arresto è fino a 3 mesi e quella, alternativa, dell’ammenda è di 100 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. L’appalto non genuino, secondo un indirizzo costante della Cassazione penale, può portare, sotto l’aspetto tributario sia al reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.L.vo n. 74/2000)”, con possibili riflessi sulla responsabilità della società ai sensi del D.L.vo n. 231/2001. Da ultimo e sempre per completezza di informazione si ricorda che con la sentenza n 16302 del 27 gennaio 2022 la Cassazione penale (III sezione), ha affermato che, in presenza di un appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto ed il rapporto, instaurato apparentemente con l’impresa appaltatrice, è nullo con la conseguenza che non è possibile detrarre l’IVA dalle fatture. Alle stesse conclusioni la Cassazione penale è giunta con la sentenza della stessa III sezione, la n. 19595 del 10 maggio 2023, con la quale ha anche rimarcato la indeducibilità del corrispettivo sopra considerato ai fini dell’IRPEF.