Con il decreto Crescita (D.L. n. 34/2019), vengono apportate importanti modifiche per i lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D.lgs. n. 147/2015. Viene in primis aumentata la percentuale di esenzione per il reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia, che passa dalla misura del 50% a quella del 70%; con la possibilità di un ulteriore innalzamento al 90% nel caso in cui il soggetto trasferisca la propria residenza in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia. Tale esenzione si applica tuttavia a quei soggetti che trasferiscono la propria residenza in Italia a far data dal 1° gennaio 2020. Sarebbe stato invece auspicabile che detta misura si estendesse anche a coloro i quali si sono trasferiti in Italia nella annualità precedenti, per la parte del periodo residua dell’agevolazione sino a quel momento goduta. Requisito dell’Iscrizione all’AIRE Quella che rappresenta la maggiore novità rimane la previsione introdotta in tema di AIRE, laddove si deve riscontrare un importante cambio di prospettiva in tema di residenza. Mentre infatti in passato, l’accesso al regime era precluso a quei soggetti che mancavano del requisito dell’iscrizione all’AIRE, la nuova normativa introduce un cambio di rotta. Viene infatti prevista la possibilità di aderire a tale misura agevolativa pur in mancanza di detto requisito formale, purché i lavoratori siano fiscalmente residenti all’estero ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni. Ed infatti come previsto dal decreto legge, i lavoratori impatriati non iscritti all’AIRE, potranno accedere al regime a decorrere dal 1° gennaio 2020, a condizione che siano stati residenti fiscali in un altro Stato ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni. Tale modifica normativa, risponde all’esigenza di consentire l’accesso al regime a molti espatriati che una volta rientrati in Italia, si erano visti pervenire degli avvisi di accertamento, sulla base della mancata iscrizione degli stessi all’AIRE. Il richiamo alle Convenzioni internazionali in tema di residenza rappresenta quindi una prima ed importante apertura all’applicazione dell’art. 4 del Modello OCSE, per dirimere eventuali conflitti di residenza tra Stati, consentendo per la prima volta di superare lo status di residente fiscale basato sulla normativa interna, limitando di conseguenza la portata del requisito formale dell’iscrizione all’AIRE, in precedenza elemento che inibiva il ricorso a tale norma convenzionale, aprendo la strada alle contestazioni da parte degli Uffici. In concreto quindi il cambio di prospettiva operato dal decreto sulla mancanza dell’iscrizione all’AIRE, pur continuando ad avvalorare la preminenza del requisito formale dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente ai fini della determinazione della residenza, consente di superare tale presunzione assoluta qualora il soggetto possa considerarsi fiscalmente residente in un altro Stato sulla base dell’applicazione delle Tie - breaker rule. Sarebbe auspicabile che tale apertura abbia un impatto su eventuali contenziosi tra i contribuenti e l’Amministrazione finanziaria, basati per l’appunto sulla mancata iscrizione all’AIRE. Convenzioni contro le doppie imposizioni Da un punto di vista del diritto dei Trattati, il tema della residenza fiscale viene declinato dall’articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE. La norma si inserisce in un più ampio quadro sistematico, che rende le Convenzioni internazionali lo strumento primario per limitare la doppia imposizione che un soggetto passivo potrebbe subire sul medesimo reddito, ed avente la propria fonte nello stesso presupposto impositivo all’interno del medesimo periodo d’imposta. Detta norma trova applicazione nel caso in cui un medesimo soggetto venga considerato fiscalmente residente sulla base della normativa interna di due Stati contraenti. In buona sostanza l’articolo 4 sopra richiamato, in caso di conflitto di residenza tra due ordinamenti nazionali, riconduce infatti la stessa nello Stato contraente in cui il soggetto passivo: a) ha la possibilità di disporre di un’abitazione permanente ovvero intrattiene il proprio centro degli interessi personali ed economici; b) soggiorna abitualmente; c) ha la propria nazionalità (..). Si può dunque comprendere come, nel caso in cui un soggetto sia considerato fiscalmente residente in due Stati contraenti, si ricorra a degli indici rivelatori di residenza che sono incentrati su dati fattuali senza alcun riferimento ad elementi formali (i.e. eventuali iscrizioni anagrafiche). Nonostante ciò i giudici di legittimità e l’Amministrazione finanziaria, sembrano non tenere in considerazione tale (sovraordinata) impostazione convenzionale, valorizzando come detto sopra il mero criterio formale a discapito di quello sostanziale. Ed infatti il recepimento, per il tramite della legge di esecuzione, nell’ordinamento interno delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, qualifica tali Trattati come fonti sovraordinate rispetto alla normativa recata dall’art. 2 del TUIR, stante l’immanente principio di specialità degli stessi. Tale doverosa premessa conduce dunque al differente approccio utilizzato in sede OCSE al fine di dirimere i conflitti di residenza. La normativa convenzionale muove infatti da un approccio diametralmente opposto rispetto a quella adottato dalla normativa interna, e si incentra su dati prettamente fattuali, discostandosi quindi da una prospettiva formalistica. Conclusioni In un contesto internazionale (ed in particolare Europeo) in cui si avvalora sempre maggiormente il dato sostanziale rispetto a quello formale, ed in cui il diritto tributario internazionale ha assunto, per adeguarsi ai contesti economici, un valore “dinamico”, l’approccio formale tenuto dagli Uffici e della giurisprudenza di legittimità rispetto al requisito di iscrizione all’AIRE, appare quantomeno obsoleto e poco aderente alla crescente mobilità degli individui. Traendo spunto sia dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte, in cui si è assistito ad un cambio di orientamento in tema di residenza, laddove si è inteso avvalorare i legami patrimoniali rispetto a quelli (in precedenza preminenti) personali; operando di conseguenza un’attenta valutazione fattuale, che da quanto recentemente enucleato nel decreto Crescita in cui si supera (parzialmente) l’invalicabile presunzione assoluta data dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, potrebbe desumersi un principio generale ormai immanente in ambito Europeo, ovvero il superamento del dato formale in favore di quello sostanziale. Un differente orientamento finirebbe infatti per condurre al paradosso di assoggettare a tassazione un soggetto sulla sola base formale di un mancata iscrizione all’anagrafe dei residenti all’estero, scollegandolo del tutto da quel principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione che sarebbe frustrato in mancanza di un legame sostanziale tra soggetto passivo e lo Stato alle cui spese è chiamato a concorrere. Sarebbe quindi auspicabile che il contemperamento del requisito dell’iscrizione all’AIRE con l’art. 4 della Convenzione, oggi limitato soltanto al regime degli impatriati, possa assurgere a principio generale in tutti quei casi in cui si tratti di analizzare una fattispecie complessa quale la residenza fiscale delle persone fisiche.