L’art. 24, comma 4, del D.L.vo n. 81/2015 prevede un diritto di precedenza in favore di chi, con uno o più contratti a tempo determinato, supera la soglia dei sei mesi: tale diritto “vale” per dodici mesi dal momento della cessazione del rapporto ed è esercitabile per una assunzione a tempo indeterminato (anche a tempo parziale o con rapporto di apprendistato) per le mansioni già svolte. Tale diritto è esercitabile, con una nota scritta inviata al datore di lavoro entro i sei mesi successivi alla cessazione del rapporto anche per le donne che si trovano nel “periodo protetto”: nel computo dei sei mesi occorre, in quest’ultimo caso, calcolare anche quelli trascorsi in astensione obbligatoria (anche anticipata) ed il diritto, oltre che per una assunzione a tempo indeterminato, vale anche per un ulteriore contratto a tempo determinato per le mansioni già svolte. Leggermente diverso è il discorso relativo ai contratti stagionali: il diritto di precedenza, esercitabile con le stesse modalità entro i tre mesi successivi alla cessazione del rapporto, vale per un ulteriore contratto stagionale presso lo stesso datore di lavoro: sia in questo caso che nel precedente la contrattazione collettiva può stabilire termini diversi entro i quali esercitare il diritto. Diritto di precedenza: gli obblighi per il datore di lavoro La norma prevede, altresì (ed è su questo aspetto che mi soffermo in questa riflessione) l’obbligo del datore di lavoro di comunicare al lavoratore, nella lettera di assunzione, l’esistenza di tale diritto, cosa che può avvenire con il mero richiamo al dettato dell’art. 24 o con una esplicitazione della disposizione in modo più ampio. Tale obbligo, però, non è sanzionato e, sovente, alcuni datori di lavoro omettono, volutamente, di inserire tale comunicazione, ritenendo sufficiente il dettato legislativo che dovrebbe essere conosciuto a tutti. Sulla carenza di tale comunicazione si è accentrata l’attenzione degli ispettori del lavoro e della Magistratura di legittimità. I primi, attraverso il potere di disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004 (che è un potere discrezionale esercitabile tutte le volte che sussistono violazioni di legge non coperte da sanzioni amministrative o penali), possono emettere un provvedimento nel quale obbligano, entro un termine perentorio, il datore di lavoro ad ottemperare: se non lo fa scatta una sanzione compresa tra i 500 ed i 3.000 euro che non riguarda l’obbligo, di per se stesso non sanzionato, ma l’ordine dell’ispettore finalizzato a far rispettare una norma di legge. La sanzione è impugnabile in via amministrativa con ricorso al Direttore dell’Ispettorato territoriale del Lavoro competente entro i quindici giorni successivi alla ricezione della disposizione: la decisione, senza alcuna sospensione del provvedimento, interviene entro i quindici giorni seguenti. Ovviamente, il provvedimento è, parimenti, soggetto a gravame con ricorso al TAR negli ordinari tempi di impugnazione. Prima di passare alla posizione espressa dalla Cassazione, occorre sottolineare come la nuova interpretazione dell’art. 24, comma 4 (della quale parlerò tra un attimo), apre lo spazio per un maggior ambito di applicazione della disposizione nel caso dell’inottemperanza all’obbligo di informazione, in quanto la stessa potrà riguardare anche il periodo non più coperto dalla decadenza del diritto (in questo caso sarebbe opportuno un chiarimento di prassi da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro). L’ordinanza n. 9444/2024 della Corte di Cassazione Per quel che concerne la Magistratura è interessante quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9444/2024, trovatasi a decidere su un ricorso di un lavoratore già titolare di un con contratto a termine stagionale che non aveva esercitato per iscritto, entro i previsti tre mesi, il proprio diritto di precedenza ma che, nella lettera di assunzione non aveva avuto alcun riferimento circa l’esistenza del diritto stesso, in quanto il datore aveva, completamente, omesso tale onere. La Corte di Appello, a fronte della doglianza del ricorrente, aveva escluso qualsiasi ipotesi di risarcimento del danno proprio perché la violazione dell’obbligo non prevede alcuna sanzione: al contempo, però, aveva ritenuto che da tale mancanza scaturisse l’impossibilità per il datore di lavoro di eccepire “l’eventuale decadenza dal diritto di precedenza”. La Cassazione contesta, parzialmente, tale decisione, fornendo una interpretazione diversa dell’art. 24, comma 4, osservando che: a) dall’obbligo formale discende pur sempre un inadempimento ad una disposizione inserita dal Legislatore che non ha ritenuto sufficiente la mera previsione della norma. Tale obbligo è indubbiamente finalizzato a far conoscere al lavoratore l’importanza del diritto e le modalità per il suo esercizio; b) da tale inadempimento discende in favore del lavoratore un diritto al risarcimento del danno sulla scorta della previsione dell’art. 1218 c.c.. Il risarcimento del danno è sempre previsto nei casi di violazione del diritto di precedenza anche in casi previsti da altre norme (riassunzione di lavoratore a seguito di licenziamento entro sei mesi in caso di nuova assunzione per la stessa qualifica - art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949 -, riassunzione entro i dodici mesi successivi alla cessione dell’azienda o ramo di essa - art. 47 della legge n. 428/1990). Sul punto, i giudici di Piazza Cavour si sono, chiaramente, espressi, con le sentenze n. 12505/2003 e n. 11737/2010); c) il datore di lavoro (e qui la Cassazione concorda con la Corte d’Appello) non può opporre al lavoratore la decadenza dal diritto di precedenza se lui stesso non ha adempiuto ad un obbligo previsto dalla legge. Per completezza di informazione, vale la pena di ricordare che se una assunzione agevolata (ad esempio, quella di un titolare di reddito di inclusione portatore di cospicui benefici) avviene in luogo dell’assunzione di un lavoratore con diritto di precedenza, scatta la previsione dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 in base alla quale l’incentivo non viene riconosciuto.