Qualora i dati estratti dal sistema di controllo automatico, nell’ambito di una ispezione Inps, siano confluiti in un verbale cartaceo sottoscritto dagli operatori, esso, in quanto redatto da pubblici ufficiali, fa fede fino a querela di falso. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 7475 depositata il 20 marzo 2024, affermando un principio di diritto. Il ricorrente denunciava una serie di violazioni normative, anche relative al Codice della amministrazione digitale, deducendo l’inesistenza, nullità ovvero annullabilità o ancora inefficacia del verbale ispettivo Inps, nonché degli atti derivati (in particolare del verbale della Guardia di Finanza, dell’avviso di accertamento e del relativo atto di contestazione) per l’omesso versamento di ritenute su maggiori compensi corrisposti ai propri dipendenti per l’anno 2007. Per la Sezione tributaria, tuttavia, il richiamo alle norme del Cad che disciplinano i requisiti di validità delle scritture private (art. 20 cit.), degli atti pubblici (art. 21 cit.), e delle copie informatiche di documenti analogici (art. 22 cit.) e analogiche di documenti informatici (art. 23 cit.) “non coglie nel segno”. «I dati che i pubblici ufficiali, in sede di ispezione o verifica, estraggono e rielaborano da un sistema informatico – afferma la Suprema corte - non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo fede fino a querela di falso non il documento informatico, bensì il verbale redatto dai pubblici ufficiali nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati». «Mentre – prosegue la decisione - i dati in sé sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente e ragionevolmente motivata, non risultando altresì pertinente il richiamo alle norme del d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione digitale), che disciplinano i requisiti delle scritture private e degli atti pubblici formati con modalità informatiche». Con la medesima ordinanza, rigettando l’eccezione di giudicato presentata dal ricorrente - con riguardo ad altre due pronunce della CTR del Lazio che, in relazione agli anni di imposta 2003 e 2204, avrebbero statuito in senso favorevole alla contribuente - ha affermato che nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato alle ipotesi in cui vengano presi in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto a esecuzione prolungata. E, tuttavia, qualora, invece, si abbiano accertamenti su più annualità, l’applicabilità del giudicato esterno deve essere valutata con riferimento all’autonomia dei singoli periodi d’imposta, al fine di stabilire se il giudicato formatosi su di un’annualità si estenda anche alle altre, oggetto di separato giudizio. In particolare, la sentenza del giudice tributario che accerta definitivamente il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore «condizionante» inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, mentre, laddove risolve una situazione fattuale riferita a uno specifico periodo d’imposta, come nel caso in esame, essa non può estendere automaticamente i suoi effetti a un’altra e diversa annualità.