I cittadini extracomunitari possono beneficiare dell’assegno di natalità se hanno il permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno: non è necessario, quindi, che l’immigrato sia in possesso del permesso di soggiorno unico. A precisarlo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10667 del 19 aprile 2024. L'art. 1, comma 125, della legge n. 190/2014 aveva riconosciuto, "al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno", un assegno di importo pari a 960 euro annui per ogni figlio nato tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 da cittadini italiani o da cittadini di uno Stato membro dell'unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'art. 9, d.lgs. n. 286/1998. Come noto, con ordinanza interlocutoria n. 16169 del 2019, la Suprema Corte, sul presupposto che l'assegno in questione costituisse prestazione di assistenza sociale di contenuto economico, volta alla realizzazione di uno degli interventi finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle responsabilità familiari, così come previsto, in applicazione dei principi costituzionali fissati dagli artt. 2 e 3 Cost., dall'art. 16, L. n. 328/2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 125, L. n. 190/2014, in relazione agli 3, 31 e 117, comma 1°, Cost. (quest'ultimo in riferimento agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 CDFUE), nella parte in cui richiedeva ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell'erogazione dell'assegno di natalità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione dell'art. 41, d.lgs. n. 286/1998. Con sentenza n. 54/2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 125, nella sua originaria formulazione (prima, dunque, delle modifiche introdotte dall'art. 3, comma 4, L. n. 238/2021), nella parte in cui escludeva dalla concessione dell'assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell'unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'unione o nazionale, ai quali è comunque consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva negato l'assegno di natalità al cittadino immigrato in quanto sprovvisto di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; e dal momento che, in parte qua, la disciplina di cui all'art. 1, comma 125, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, il tenore di tale comma, quale risultante a seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale, priva sostanzialmente di rilevanza, ai fini della concessione della provvidenza di cui trattasi, il motivo per cui in concreto risulta rilasciato il permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002, solo rilevando che si tratti di cittadini di paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell'unione o nazionale o ammessi a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'unione o nazionale e ai quali sia comunque consentito lavorare.