Il contratto di lavoro subordinato può prevedere il patto di prova, utile alla valutazione, da parte di azienda e lavoratore, della convenienza rispetto alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Per tutta la durata del periodo di prova, infatti, il datore ha la possibilità di valutare le capacità del lavoratore, mentre quest’ultimo può valutare l’ambiente dell’azienda e scegliere se proseguire in quel contesto la propria carriera o meno. Si tratta, infatti, di un libero recesso che legittima la chiusura del rapporto di lavoro al di fuori del rispetto dei consueti vincoli imposti dal legislatore. Il Codice civile, all’art. 2069, prevede che: “l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova”. Per quanto riguarda la durata, la specifica definizione è rimessa al CCNL di riferimento, ferma restando la previsione di legge, introdotta dal decreto Trasparenza (D.Lgs. n. 104/2022), che fissa un termine massimo di durata pari a 6 mesi. Il patto, quindi, ai fini della sua validità, deve essere apposto in forma scritta (quindi ab substantiam) e la prova stessa deve essere riferita a una predeterminata attività lavorativa, ben individuata. Periodo di prova in apprendistato Per quanto il D.Lgs. n. 81/2015 non riproponga una disposizione specifica in materia di patto di prova, non possono sussistere dubbi circa la legittima apposizione di un periodo di prova al contratto di apprendistato. Il patto di prova può essere applicato ad ogni tipologia di contratto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato o a termine, nonché ai contratti con carattere formativo. In questo ultimo caso, tuttavia, la prova non può riguardare le capacità tecnico professionali dell’apprendista, quanto, invece, l’astratta idoneità ad apprendere gli insegnamenti previsti ai fini del conseguimento di una certa qualifica professionale. Può dunque legittimamente essere convenuto fra le parti un periodo di prova regolato con le ordinarie modalità previste per la generalità dei rapporti di lavoro. Nei rapporti di apprendistato, in caso di malattia, infortunio e altre cause di sospensione involontaria del rapporto, di durata superiore a 30 giorni, si prevede il corrispondente prolungamento del periodo formativo e dunque, nel caso di specie, anche del periodo di prova in corso di svolgimento. Una volta completato il percorso di formazione, sia il datore di lavoro che l'apprendista possono decidere di chiudere il rapporto di lavoro durante il periodo detto di "recesso", che è regolamentato nella sua durata dalla contrattazione collettiva. È necessario che venga inviata una comunicazione scritta e che siano rispettati i termini per il preavviso definiti dai singoli contratti collettivi. Non è obbligatorio inviare alcuna giustificazione per l'interruzione del rapporto di lavoro. Se non interviene una esplicita disdetta del contratto, il rapporto di lavoro prosegue a tempo indeterminato. Durante il periodo formativo del rapporto di apprendistato, una volta superato il periodo di prova, l'interruzione del contratto è possibile, invece, solo nel caso di giusta causa o giustificato motivo. Recesso al termine del periodo di prova Raggiunto il termine previsto, se nessuno esprime volontà di recedere, la prova si ritiene automaticamente superata ed il contratto prosegue in via definitiva, senza che sia necessario provvedere ad alcuna formalità in tal senso. Se, invece, una o entrambe le parti scelgono la via del recesso, per nessuna delle due sono previsti oneri di alcun tipo: - il datore non deve rispettare i termini di preavviso, né fornire alcuna giusta causa (licenziamento ad nutum); - il lavoratore non deve presentare le proprie dimissioni on-line, essendo sufficiente la trasmissione di una comunicazione scritta al datore, per renderlo edotto su tale decisione. Il periodo di prova, dunque, garantisce una certa flessibilità sia al datore di lavoro che al dipendente in materia di recesso, permettendo a entrambe le parti di porre fine al contratto senza preavviso e senza motivazione, alleggerendo, dunque, gli obblighi burocratici invece previsti per il normale recesso dal contratto di lavoro: la clausola apposta dunque al contatto di lavoro siglato tra le parti è senza dubbio valida. La facoltà di recesso può essere esercitata esclusivamente se viene rispettato l’obbligo di fare e consentire lo svolgimento del periodo di prova. Conseguenze del recesso illegittimo Durante il periodo di prova, il datore di lavoro e il lavoratore possono recedere dal contratto in ogni momento, senza obbligo di preavviso, senza giusta causa o giustificato motivo, a meno che non abbiano pattuito una durata minima del periodo di prova. Il datore di lavoro, dunque, ha una libera facoltà di recesso, rimessa a una sua valutazione discrezionale ma non arbitraria: il lavoratore può contestare la legittimità del licenziamento se non gli è stato consentito, per inadeguatezza della durata della prova o per altri motivi, di dar prova del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali era preordinato il patto di prova. Il recesso è, dunque, ritenuto illegittimo qualora: - la prova non sia stata effettivamente consentita, non essendo intercorso un arco di tempo utile a consentire al datore di lavoro la valutazione delle capacità di svolgere la prestazione assegnata al lavoratore; per omessa concreta attribuzione delle mansioni o qualora la prova abbia avuto ad oggetto mansioni diverse da quelle previste all’atto dell’assunzione; - il licenziamento sia riconducibile a un motivo illecito (quale, ad esempio, una ragione discriminatoria) o estraneo al rapporto di lavoro. L’onere della prova, al ricorrere di queste fattispecie, grava sul lavoratore. In ogni caso, l’illegittimità del recesso comporta il diritto per il lavoratore di completare il periodo di prova e di ottenere il pagamento della retribuzione corrispondente oppure il risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale del datore.