La somministrazione di alimenti e bevande integra una fattispecie assimilata alle prestazioni di servizi, ex art. 3, comma 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972 ed è caratterizzata dalla commistione di “prestazioni di dare” e “prestazioni di fare”, in tal modo distinguendo la somministrazione di alimenti e bevande dalla vendita di beni da asporto, che si qualificano a tutti gli effetti come cessioni di beni in considerazione del prevalente obbligo di dare. Inoltre, la somministrazione di alimenti e bevande è soggetta a IVA con l’aliquota del 10%, di cui al n. 121) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, mentre la cessione di piatti da asporto, in via di principio, sconta l’aliquota applicabile in dipendenza della singola tipologia di bene alimentare venduto. Tuttavia, con la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 40, della L. n. 178/2020 (Legge di Bilancio 2021) è stato stabilito che, nella nozione di “preparazioni alimentari”, prevista dal n. 80) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, “rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto”, che sono quindi soggette a IVA con l’aliquota del 10%. A ben vedere, prima della novità introdotta dalla Legge di Bilancio 2021, a livello amministrativo, si era già voluto equiparare l’aliquota IVA della “somministrazione” a quella della “vendita” di alimenti e bevande in modo da evitare ulteriori aggravi a carico dei consumatori dovuti al fatto che, a causa dell’emergenza sanitaria causata dal COVID-19, la riduzione dei coperti per il rispetto degli stringenti vincoli igienico-sanitari per la somministrazione in loco degli alimenti, la vendita da asporto e la consegna a domicilio rappresentano modalità integrative mediante le quali i ristoratori possono svolgere la loro attività, anche se dotati di locali, strutture, personale e competenze astrattamente caratterizzanti lo svolgimento dell’attività di somministrazione, abitualmente svolta dagli stessi (si veda la risposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione parlamentare n. 5-05007 del 18 novembre 2020). La “nuova” norma è compatibile con la normativa comunitaria, come interpretata dalla sentenza della Corte di giustizia di cui alla causa C-703/19, ove stabilisce che “il fatto che le operazioni di cui trattasi rientrino nella nozione di «servizi di ristorazione e catering» o in quella di «prodotti alimentari», ai sensi dell’allegato III della direttiva IVA, può non incidere sulla scelta dell’aliquota IVA ridotta applicabile dallo Stato membro. Infatti, (…) ciascuno Stato membro è libero di classificare in una stessa categoria e di assoggettare a imposta alla stessa aliquota IVA ridotta operazioni imponibili diverse, incluse in categorie distinte di tale allegato, senza operare alcuna distinzione formale tra le cessioni di beni e le prestazioni di servizi”. La disposizione introdotta dalla Legge di Bilancio 2021 è diretta a semplificare l’applicazione dell’IVA, evitando agli operatori l’onere di dover individuare l’aliquota in funzione del livello di servizi offerto al consumatore, da determinare in base alla decisione di quest’ultimo se beneficiare o meno dei servizi di supporto alla fornitura di cibi o bevande.