La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20058 depositata il 13 luglio 2023, ha affermato il principio di diritto secondo cui le sanzioni previste dall’art. 303 comma 3 del DPR 43/73 (c.d. TULD) sono sproporzionate e devono essere disapplicate dal giudice di merito. Tale pronuncia è di particolare rilievo, in quanto consolida l’orientamento della Suprema Corte, sancendo definitivamente l’illegittimità delle sanzioni amministrative irrogate dall’Agenzia delle Dogane per violazione del principio unionale di proporzionalità. Si ricorda che l’art. 303 comma 3 del TULD stabilisce che, se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il 5%, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è la seguente: - per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro; - per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro; - per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro; - per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro; - oltre 4.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti. Nel caso di specie, poiché i diritti di confine pretesi dall’Amministrazione doganale erano superiori a 4.000 euro, è stata applicata la sanzione nella misura di 30.000 euro. Il giudice di secondo grado, valutata l’entità del tributo evaso (inferiore a 5.000 euro) e il comportamento tenuto dal contribuente, ha disapplicato la disposizione normativa, rideterminando per l’effetto la sanzione. Dalla sua entrata in vigore, l’art. 303 comma 3 del TULD è stato oggetto di numerose critiche, non essendovi proporzionalità tra l’entità della sanzione e il disvalore dell’illecito, contrariamente ai principi sanciti dall’art. 5 § 4 del TUE e dall’art. 42 del Reg. Ue 952/2013 (CDU), secondo cui “ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive”. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha più volte precisato che le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Dogane devono rispettare il principio di proporzionalità, in forza del quale non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi e devono tenere conto della natura e della gravità dell’infrazione commessa (Corte di Giustizia Ue C-655/18 del 4 marzo 2020; C-81/17 del 26 aprile 2018; C-272/13 del 17 luglio 2014). Se, pertanto, in assenza di armonizzazione in ordine alle sanzioni applicabili in caso di inosservanza della normativa doganale gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro più appropriate, gli stessi, tuttavia, sono tenuti a esercitare la loro competenza nel rispetto dei principi generali dell’Ue. Spetta poi al giudice nazionale valutare l’adeguatezza delle sanzioni effettivamente irrogate e, qualora necessario, disapplicarle perché in contrasto con norme europee direttamente applicabili. In tal senso si era già espressa anche la Suprema Corte, la quale ha ribadito il principio secondo cui le sanzioni devono essere proporzionali alla violazione commessa e che, in caso contrario, spetta al giudice rideterminarle, giacché il sistema a scaglioni delineato dall’art. 303 comma del TULD, stante la rigidità dei minimi previsti, non consente di contenere la sanzione adeguandola all’effettivo disvalore della violazione (Cass. n. 14908/2022). La questione, infatti, non è risolvibile in mera chiave interpretativa, ma solo attraverso la disapplicazione della norma sanzionatoria. Nel rispetto del principio unionale di proporzionalità, pertanto, la Cassazione, con la sentenza in commento, ha affermato il principio di diritto secondo cui “in materia d’IVA, le modalità di quantificazione delle sanzioni previste dall’art. 303, comma 3, lett. e) del d.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), come sostituito dall’art. 11 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, che le determinano per il diritto di confine non dichiarato in un importo minimo di 30.000 euro, eccedono il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione di un dazio doganale non versato superiore a 4mila ma inferiore a 5mila euro, attesa la misura fissa del minimo e l’impossibilità di adeguare le sanzioni alle circostanze specifiche del singolo caso, per cui vanno disapplicate in quanto contrarie al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia”.