Plusvalenza: niente accertamento induttivo sulla base del prezzo di vendita ai fini dell’imposta di registro

L’Ufficio non può presumere l'esistenza di un maggior corrispettivo a titolo di plusvalenza in capo al venditore, solo sulla base del valore dichiarato e così come risultante dalla definizione agevolata operata dall’acquirente, ma deve necessariamente fare leva su ulteriori elementi. A confermare questo importante principio è la sentenza n. 22728 del 20 ottobre 2020, della Corte di Cassazione secondo cui nell’accertamento sintetico delle imposte sui redditi effettuato a seguito di una compravendita immobiliare, deve ormai ritenersi superato il principio che consentiva all'Ufficio di considerare rilevante il valore attribuito ai fini del registro. Ciò in conseguenza della norma di interpretazione autentica contenuta nel decreto c.d. internazionalizzazione. IL FATTO L’Ufficio, a seguito della mancata indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza conseguente alla cessione di un terreno, accertava la maggiore imposta Irpef, dopo aver notificato un questionario in risposta al quale un contribuente, aveva depositato documentazione ritenuta incompleta. L’Agenzia assumeva quale corrispettivo un importo determinato a seguito di definizione agevolata, effettuata dall’acquirente ai sensi dell’art. 11 della L. n. 289/2002, a chiusura del procedimento di rettifica dell’imposta di registro avviato solo nei suoi confronti. L’Agenzia determinava così la plusvalenza pari all’intero valore, senza dedurre né il costo iniziale né i costi incrementativi. Con riferimento a tale contestazione, gli eredi del contribuente, nel frattempo succeduti al de cuius, ricevevano la notifica dell’atto impositivo e presentavano istanza di accertamento con adesione, la cui procedura si concludeva senza alcun riscontro da parte dell’Ufficio. La CTP rigettava il ricorso proposto dai contribuenti e la CTR confermava la decisione di primo grado. Avverso tale statuizione i contribuenti proponevano ricorso per Cassazione, deducendo in particolare la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 per avere, i giudici del gravame, attribuito rilevanza ai fini della determinazione del valore del bene compravenduto, alla definizione agevolata, effettuata dall’acquirente con riferimento all’imposta di registro, effettuata in contraddittorio con l’alienante. Comunque tale valore concerneva il prezzo di mercato del bene, e non invece al prezzo effettivamente conseguito, rilevante ai fini del registro ma non ai fini Irpef. Inoltre, censurava la decisione d’appello per avere ritenuto erroneamente corretta la tassazione a titolo di plusvalenza dell’intero valore del terreno, senza considerare le spese inerenti. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e decidendo nel merito ha accolto il ricorso originario dei contribuenti. La Suprema Corte ricorda innanzitutto che l’art. 5, comma 3 del D.lgs. n. 147/2015, entrato in vigore in pendenza di giudizio, è intervenuto su tale prassi accertativa, imponendo - come ius superveniens, e norma di interpretazione autentica, con efficacia retroattiva - l’acquisizione di ulteriori elementi e circostanze, anche se presuntivi, atteso che il maggior corrispettivo ricostruito non è più presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro. Tale interpretazione, prosegue la Corte, è giustificata dalla circostanza che la base imponibile ai fini Irpef non sia data dal valore del bene ceduto, come avviene per l’imposta di registro ma dalla differenza tra corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e prezzo di cessione, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Nella specie, la CTR ha ritenuto erroneamente legittimo, nei confronti della venditrice, il recupero a tassazione Irpef, della plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile, effettuata in base al prezzo di mercato risultante dalla definizione agevolata operata dall’acquirente ai fini del registro, affermando che spettasse alla venditrice dimostrare di avere venduto a un prezzo inferiore. Il sopravvenuto art. 5 del D.lgs. n. 147/2015 come interpretato dalla giurisprudenza consolidata (Cass. 2816/2020, 27614/2018, 19227/2017 tra le altre) non consente più di determinare in via induttiva la plusvalenza realizzata solo sulla base di tale dato.

Plusvalenza: niente accertamento induttivo sulla base del prezzo di vendita ai fini dell’imposta di registro

Il Dlgs 147/2015 non consente di determinare in via induttiva la plusvalenza solo sulla base del prezzo di vendita come risulta dalla dichiarazione fatta ai fini dell’imposta di registro

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