Il consulente finanziario resta ai domiciliari senza l'uso del telefono e di internet, così non può comunicare con l'esterno. È eccezionale, infatti, il pericolo di reiterazione del reato che consente di rinnovare la misura cautelare divenuta inefficace per inosservanza del termine ex articolo 311, comma 5-bis cod. proc. pen. E ciò perché l'indagato per truffa e riciclaggio mostra «un'abilità professionale non comune» nell'agire «sottobanco», spadroneggiando sul patrimonio dei clienti amministrati. Pazienza se è stato già colpito da provvedimenti disciplinari della Consob: potrebbe comunque operare sul mercato tramite terzi iscritti all'albo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8115 del 28 febbraio 2020. IL FATTO Il Gip del Tribunale di Milano applicava all'imputato la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di truffa aggravata e riciclaggio, commessi secondo l'accusa quale componente del consiglio di amministrazione e gestore di fatto di una società, condotte che sarebbero state poste in essere attraverso la costituzione di un fondo immobiliare, impiegato per effettuare operazioni finanziarie truffaldine, caratterizzate dal costante conflitto di interessi da parte dei gestori della società quali l'acquisto di titoli e fondi, oppure dalla violazione della disciplina prevista dall'art. 223 TUF per mancanza di liquidità necessaria, attraverso l'emissione di obbligazioni, che determinava un considerevole danno anche per gli ulteriori 117 clienti della società, titolari di contratti di gestione patrimoniali, nel patrimonio dei quali venivano fatte confluire tali obbligazioni per euro 4.800.000,00. Il Tribunale di Milano confermava la misura cautelare che veniva, però, annullata dalla Corte di Cassazione, senza rinvio quanto al riconoscimento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. a) cod. proc. pen., e con rinvio quanto alle esigenze di cui alla lett. c) del medesimo articolo. In sede di rinvio, il Tribunale del riesame confermava nuovamente la misura. Anche questa ordinanza, però, veniva dichiarata inefficace dal Tribunale di Milano, nel corso del giudizio, per inosservanza del temine previsto dall'art. 311, comma 5-bis cod. proc. pen. Con successiva ordinanza lo stesso Tribunale rigettava la richiesta del pubblico ministero di rinnovo della misura cautelare. Accogliendo l'appello proposto dal pubblico ministero, invece, il giudice del riesame ha ripristinato la misura degli arresti domiciliari nei confronti dell'imputato. Avverso tale ordinanza l'imputato ha nuovamente proposto ricorso per cassazione, rilevando che già la scelta degli arresti domiciliari da parte del Gip non si concilierebbe con un grado di pericolosità particolarmente elevato e che le condotte contestate, comunque, si fermerebbero al 2016. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Come la Suprema Corte ha avuto ripetutamente modo di evidenziare, infatti, le "eccezionali esigenze cautelari" che consentono la rinnovazione della misura dichiarata inefficace si distinguono da quelle ordinarie per il grado di pericolo, che deve superare la concretezza e l’attualità richiesta dall'art. 274 cod. proc. pen. per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l'indagato, ove non sottoposto a misure coercitiva, continui nella commissione di delitti della specie di quello per cui si procede, e possono essere desunte dai medesimi elementi già sussistenti al momento dell'emissione della prima ordinanza, non essendo a tal fine necessario un "quid pluris" rispetto alle esigenze che fondavano la misura perenta o la ricorrenza di elementi nuovi sopravvenuti. Il provvedimento impugnato si era motivatamente adeguato a tali principi, evidenziando come già nella sentenza con la quale la Cassazione aveva annullato con rinvio una precedente ordinanza, era stata rilevata l' "abilità professionale" non comune dell'imputato nelle illecite condotte "finalizzate ad occultare i profitti illeciti e trasformare l'oggetto stesso dei proventi, oltre che a condizionare dall'esterno gli organi della società amministrata da terzi", ed aveva quindi rilevato che ulteriori elementi portavano a riconoscere il pericolo di recidiva specifica non solo ancora persistente, ma anche così intenso da configurare, appunto, esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Coerentemente con la riconosciuta capacità del ricorrente di aggirare divieti e prescrizioni, pertanto, il Tribunale del riesame ha ritenuto poco significativa, nel caso di specie, la prescrizione dell'art. 7-septies del T.U.F., che dispone la sospensione del consulente finanziario ad opera degli organismi di vigilanza, quando si presume l'esistenza di violazioni, presumendo che, comunque, un provvedimento di sospensione verrebbe agevolmente aggirato dalla comprovata possibilità del ricorrente di operare sul mercato finanziario avvalendosi di terzi iscritti all'Albo. Il carattere eccezionale delle riconosciute esigenze cautelari, prosegue la Cassazione, non può ritenersi in alcun modo in contraddizione con la già disposta misura degli arresti domiciliari, atteso che la scelta della misura attiene a criteri di adeguatezza con le esigenze da tutelare e non già al carattere normale o eccezionale di queste: nel caso di specie, pertanto, si è ritenuto che, in coerenza con la facilità e possibilità di contatti con soggetti operanti nel settore finanziario, sulla quale si fonda la valutazione in questione, si è ritenuto di integrare la custodia domiciliare con il divieto di contatto anche telefonico ed informatico con persone diverse dai familiari, al fine di prevenire il pur eccezionale pericolo di reiterazione del reato che, evidentemente, si è ritenuto potersi concretizzare solo con i contatti, invece, così evitati. Ne consegue il rigetto del ricorso.