La Suprema Corte, con la sentenza n. 15391 del 3 giugno 2024, ha avuto modo di soffermarsi sulla disciplina dei controlli tecnologici a distanza dell’attività dei lavoratori, con particolare riferimento all’utilizzo del sistema Telepass installato sul mezzo di trasporto affidato al lavoratore. I giudici di legittimità sono giunti ad affermare che il Telepass, se collocato su auto aziendali destinate allo svolgimento di specifici servizi, deve considerarsi quale vero e proprio strumento di lavoro e, pertanto, rientrante nell’ambito applicativo del comma 2 dell’art. 4 della L. 20 maggio 1970 n. 300. Le informazioni raccolte mediante tale apparecchio sono, dunque, utilizzabili solo a condizione che sia data al lavoratore un’adeguata informativa circa le modalità d’uso e di effettuazione dei controlli. In particolare, nel caso di specie, veniva irrogato il licenziamento disciplinare a un dipendente in virtù di una serie di mancanze commesse da quest’ultimo ed emergenti dai dati acquisiti per mezzo del sistema informatico usato dal lavoratore, nonché dai riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal sistema Telepass installato sul mezzo affidatogli. La norma fondamentale in materia, dalla quale ogni considerazione deve necessariamente prendere piede, è l’art. 4 della L. 300/1970. La formulazione attuale di questo articolo è quella introdotta dall’art. 23 comma 1 del DLgs. 151/2015, uno dei decreti attuativi del c.d. “Jobs Act”. Nella sua nuova forma, l’art. 4 dello Statuto si compone di tre nuclei essenziali, corrispondenti ai suoi tre commi: al primo comma vengono specificate le condizioni di utilizzabilità di strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo; al secondo comma vengono indicati i casi in cui questi presupposti non sono necessari; al terzo comma vengono chiarite le condizioni di utilizzabilità delle informazioni raccolte a distanza sull’attività dei lavoratori. Tanto premesso, secondo un oramai consolidato orientamento giurisprudenziale, si collocano al di fuori del perimetro applicativo dell’art. 4 i c.d. “controlli difensivi”, ossia quei controlli posti in essere dal datore di lavoro e finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o a evitare comportamenti illeciti in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito. Ciò purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto datoriale (cfr. Cass. 12 novembre 2021 n. 34092 e 22 settembre 2021 n. 25732). Dunque, la legittimità dei controlli difensivi in senso stretto presuppone il fondato sospetto del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più dipendenti. Spetta, tuttavia, al datore l’onere di allegare e provare le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, in quanto solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale al di fuori del perimetro di applicazione dell’art. 4 dello Statuto. In assenza di allegazioni e prove in tal senso, il controllo a distanza attuato mediante il sistema Telepass, considerata, come sopra anticipato, la sua natura di strumento di lavoro, non può che considerarsi rientrante nel perimetro applicativo dell’art. 4 dello Statuto. Pertanto, le informazioni raccolte per mezzo di tale apparecchio risultano utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, ma solo a condizione che sia data al lavoratore adeguata informativa circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, nel rispetto di quanto disposto dal DLgs. 30 giugno 2003 n. 196. In difetto, i dati attinti attraverso tale apparecchio non potranno che considerarsi inutilizzabili, a nulla rilevando la circostanza per cui il dipendente fosse consapevole della presenza dell’apparato Telepass sull’autovettura.