La legge di Bilancio 2019 ha esteso l’ambito applicativo del regime forfetario di cui alla legge n. 190/2014. Dal 1° gennaio 2019 è possibile accedervi se i ricavi e i compensi non hanno superato, nel periodo d’imposta 2018 il limite di 65.000 euro. I vantaggi sembrerebbero dunque notevoli se si considera che si applica l’aliquota proporzionale del 5 per cento in luogo dell’IRPEF progressiva. Il sistema di tassazione sostitutiva è ancor più vantaggioso se si considera che il contribuente non deve versare neppure le addizionali comunali e regionali e l’imposta regionale sulle attività produttive. Tuttavia, se il contribuente non avvia una nuova attività, quindi è già in possesso del numero di partita IVA, si determina un aggravio dell’imposizione. L’imposta sostitutiva da applicare è elevata dal 5 al 15 per cento. L’imposta sostitutiva sale dal 5 al 15% In realtà il legislatore si è preoccupato della circostanza che, pur avviando una nuova attività, il contribuente abbia strumentalmente cessato l’attività in precedenza esercitata con l’unico intento di riaprirla per presentarla come nuova e quindi per beneficiare dell’aliquota ridotta del 5 per cento. Per tale ragione l’art. 1, comma 65 della legge n. 190/2014 prevede che l’aliquota del 5 per cento possa essere applicata solo laddove il contribuente non abbia esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività di cui al comma 54, attività artistica, professionale, ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare. Questa agevolazione spetta nell’anno di avvio dell’attività e nei quattro successivi. La disposizione intende scongiurare possibili comportamenti elusivi. Conseguentemente, se l’attività esercitata nel predetto arco temporale è completamente diversa rispetto a quella nuova che il contribuente ha avviato, sarà possibile applicare l’aliquota agevolata del 5 per cento. In tale ipotesi, considerata la diversità delle due attività, il contribuente non intende “aggirare” la disposizione e la seconda attività può considerarsi effettivamente nuova. La circostanza spiega la possibilità di applicare l’aliquota del 5 in luogo dell’aliquota del 15 per cento. Il comma 65 ha previsto ulteriori due fattispecie in grado rivelare il fine elusivo che il contribuente intende perseguire. Infatti l’aliquota del 5 per cento non è applicabile nel caso in cui l’attività da esercitare costituisca la prosecuzione dell’attività svolta in precedenza sotto forma di lavoro dipendente o autonomo. Anche in questa ipotesi, un elemento da prendere in considerazione riguarda la tipologia di prestazioni e quindi di attività. Ad esempio, se in precedenza il contribuente lavorava come dipendente in un centro di estetica ed ora, dopo aver interrotto il rapporto di lavoro dipendente, ha avviato l’attività di meccanico, risulta evidente come la trasformazione del rapporto di lavoro non sia meramente formale. L’attività di meccanico è effettivamente nuova. Il contribuente ha effettivamente interrotto il precedente rapporto di lavoro dipendente e non si tratta, nello specifico, di una trasformazione formale della stessa attività precedentemente esercitata. In mancanza della finalità elusiva non sussistono dubbi circa la possibilità di applicare anche in tale ipotesi l’aliquota del 5 per cento. Non è possibile applicare tale minore aliquota qualora il contribuente prosegua un’attività svolta in precedenza da un altro soggetto con ricavi o compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente rispetto a quello di riconoscimento del predetto beneficio, superiore al limite di 65.000 euro. Oneri contributivi I successivi commi da 76 a 84 prevedono la possibilità di applicare un regime contributivo agevolato, ma le disposizioni sono applicabili esclusivamente agli esercenti attività d’impresa. In tale ipotesi, presentando all’INPS apposita domanda, si potrà ottenere la riduzione degli oneri contributivi nella misura del 35 per cento. Invece i professionisti senza cassa di previdenza, saranno obbligati ad iscriversi alla gestione separata dell’INPS effettuando il versamento integrale dei contributi che, per il periodo di imposta 2018, sono dovuti nella misura del 25,72 per cento. Conseguentemente, se si considera l’applicazione dell’aliquota base del 15 per cento, la pressione fiscale contributiva può raggiungere la misura del 40,72 per cento. Si potrebbe obiettare che gli oneri contributivi non sono tecnicamente imposte in quanto il contribuente, dopo aver maturato i requisiti, potrà fruire del trattamento pensionistico, ma in realtà tale indicazione è parzialmente vera. Se le somme versate sono di importo modesto il lavoratore autonomo potrebbe non percepire una somma proporzionata ai contributi versati. In questo senso gli oneri contributivi hanno più correttamente natura impositiva che previdenziale. Ad esempio Si consideri un professionista che nel periodo di imposta abbia percepito compensi per un importo pari a 6.000 euro. L’imponibile fiscale e previdenziale deve essere determinato applicando il coefficiente di redditività del 78% e quindi ammonta a 4.680 euro. A seguito dell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 15% e dell’onere previdenziale del 25,72%, la somma che il contribuente deve versare ammonta complessivamente a 1.905,7 euro. Se si considera anche l’acconto dei contributi che il contribuente deve anticipare con riferimento al periodo d’imposta successivo, deve essere aggiunta l’ulteriore somma pari a 962,10 euro, per un importo complessivo da versare ammontante a 2.867,8. Al termine del primo anno, dopo aver versato il saldo delle imposte e contributi, oltre al versamento degli acconti, l’importo netto spendibile ammonta a 3.132,20 euro. In pratica la somma incassata risulterebbe quasi dimezzata. Si potrebbe obiettare che in realtà il contribuente avrebbe di fatto già iniziato a versare i contributi relativi all’anno successivo. L’affermazione è tecnicamente corretta, ma intanto la capacità di spesa risulta comunque dimezzata a seguito dell’anticipato versamento, cioè prima ancora della chiusura del periodo di imposta successivo.