Opzione donna: sistema di calcolo interamente contributivo

Il decreto legge che disciplina quota 100 e reddito di cittadinanza, collegato alla legge di Bilancio 2019, prevede, tra i diversi profili di intervento, anche la proroga di opzione donna che, giova ricordarlo, costituiva uno dei punti indicati nel Contratto di Governo. La motivazione risiede nella volontà di prevedere un ulteriore canale di uscita al segmento femminile, in una prospettiva di equità previdenziale di genere, alla luce della difficoltà che potrebbe avere nel vantare 38 anni di contributi per conseguire quota 100. Opzione donna si propone allora come possibile “soluzione rosa” in considerazione dell’avvenuta piena equiparazione delle donne agli uomini con riferimento all’età pensionabile lo scorso anno completando il percorso avviato dalla riforma Fornero e l’avvenuto innalzamento dei requisiti pensionistici di vecchiaia di ulteriori 5 mesi entrata in vigore nel 2019 (ora posizionato quindi a 67 anni di età con 20 anni di contributi) per effetto dell’adeguamento automatico alla speranza di vita. Come funziona opzione donna Va ricordato che il meccanismo di opzione donna, in deroga ai requisiti pensionistici previsti dalla riforma Monti-Fornero, permette alle sole lavoratrici di accedere alla pensione di anzianità con requisiti più favorevoli, scontando questa agevolazione con un calcolo interamente contributivo del trattamento previdenziale. Si determina allora un effetto decurtativo sull’importo della prestazione pensionistica che dipende da diversi fattori tra cui l'età alla decorrenza della pensione, la dinamica della carriera lavorativa e la retribuzione, la tipologia di lavoro (dipendente o autonomo) che determina aliquote contributive differenti nonché l’anzianità contributiva maturata alla data di accesso al regime. Come si evolve L’istituto era stato previsto dalla riforma Maroni ed era stato introdotto in via sperimentale nel nostro sistema pensionistico dal 2008 prevedendo come requisiti anagrafici 57 anni di età per le lavoratrici dipendenti e 58 anni per le autonome con 35 anni di contributi. Dopo una prima fase di ridotto utilizzo l’opzione è stata esercitata invece in maniera più consistente dopo la riforma Fornero, che ha notevolmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al trattamento pensionistico avviando, inter alia, un percorso di equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne che si è perfezionato in maniera definitiva nel 2018. Si è allora più volte intervenuti prorogando negli anni la misura. Nella precedente legge di Bilancio la scelta fu invece quella di non prevederne una prosecuzione inserendo altre misure rivolte al segmento donna come il bonus contributivo dell’APE sociale per le lavoratrici madri nella misura di 12 mesi per ciascun figlio, per un massimo di 24 mesi che, giova ricordarlo, è stato prorogato sempre con il nuovo pacchetto previdenza di un anno fino al 31 dicembre 2019. Lo scorso anno opzione donna era in ogni modo ancora utilizzabile dalle lavoratrici nate entro il 1958 (1957 se autonome) unitamente a 35 anni di contributi. La nuova disposizione contenuta nel decreto collegato alla Manovra 2019 prevede che opzione donna possa essere ora attivata dalle lavoratrici dipendenti nate entro il 31 dicembre 1960 e dalle lavoratrici autonome nate entro il 31 dicembre 1959 avendo maturato una anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni al 31 dicembre 2018. Rispetto alla ipotesi di restyling iniziale si è innalzata l'età da 58/59 anni a 59/60 anni. I 35 anni di contributi devono in ogni modo continuare a essere integrati interamente nella gestione previdenziale che liquida la prestazione, restando negata la facoltà di cumulo gratuito a tal fine. In caso di opzione donna si applica poi il meccanismo della finestra mobile così come era stato introdotto nel 2010 e poi soppresso dalla riforma Fornero, vale a dire 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e di 18 mesi per le autonome. All’opzione donna non si applica invece l’indicizzazione automatica alla speranza di vita.

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