Lo svuotamento negli anni dei conti di varie aziende può integrare il reato di sottrazione fraudolenta, nonostante il trasferimento delle somme avvenga con bonifici e sia quindi tracciabile e ricostruibile. A fornire l’interpretazione è la Corte di Cassazione, sezione terza penale, con la sentenza n. 16686 del 3 maggio 2021. IL FATTO L'indagata era proprietaria di un immobile in cui avevano sede cinque ditte individuali, aventi tutte il medesimo oggetto, ossia abbigliamento, e la medesima clientela. La donna era assunta in tutte le ditte, che si sostituivano nel tempo quasi senza soluzione di continuità. Tutte le ditte avevano presentato dichiarazioni dei redditi senza però provvedere ai relativi pagamenti. Il ruolo di imprenditore occulto - attribuito all'indagata - veniva desunto, tra l'altro, dalla delega, rilasciata senza alcuna ragione apparente in suo favore, ad operare sui conti correnti. Nel periodo intercorrente tra l'iscrizione a ruolo delle somme dovute e l'inizio della riscossione coattive i conti correnti delle ditte venivano svuotati, rendendo vana la pretesa creditoria. Questo meccanismo veniva replicato con una nuova ditta avente le medesime caratteristiche ed operante in maniera analoga. Il Tribunale, pur dando atto che "si può parlare, in relazione a tale modus agendi, di mezzi fraudolentemente predisposti", ha tuttavia escluso la sussistenza del fumus del delitto in esame in quanto non si possono "qualificare come fraudolente operazioni bancarie rintracciabili e ricostruibili, come in effetti è avvenuto". LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha bocciato tale motivazione. L'assoluta irragionevolezza di tale opzione ermeneutica - chiosano gli Ermellini - appare di solare evidenza, ove si rifletta sugli effetti che ne scaturiscono: a fronte, infatti, di plurime condotte realizzative di un intero disegno fraudolento (che, per gravità, intensità e durata risulta di disvalore maggiore rispetto ad un singolo atto fraudolento), esse risulterebbero estranee all'oggetto dell'incriminazione. Ragionamento, questo, che oltretutto confligge con la stessa ratio dell'incriminazione, nella misura in cui ciò darebbe legittimazione (ed, anzi, incoraggerebbe) meccanismi complessi di evasione fiscale, organizzati, cioè, su vasta scala, che, dunque, teoricamente potrebbero essere replicati all'infinito, in quanto leciti. Oltre a ciò - proseguono i giudici -, la nozione di "atti fraudolenti" accolta dal Tribunale cautelare non è allineata con la ricostruzione operata dalla Corte di legittimità. Infatti, l'art. 11 del d.lgs. n. 74/2000 (rubricato "sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte") sanziona, nell'ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l'ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro. La norma incriminatrice, la cui portata applicativa è stata ampliata, anche con l'introduzione al secondo comma di una nuova fattispecie, dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, ha un suo precedente storico nell'art 97 d.P.R. n. 602/1973, che, nella versione introdotta dalla L. n. 413 del 1991, puniva, con la reclusione fino a tre anni, il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, aveva compiuto, dopo che erano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o erano stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta, ovvero erano stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che avevano reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale. La disposizione non si applicava se l'ammontare delle somme non corrisposte non era superiore a 10 milioni di lire. Nel confrontare la previsione attuale con quella precedente, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006) ha osservato come nella vigente fattispecie di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 sia scomparso ogni riferimento alla necessità dell'effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo ora sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace l'esecuzione esattoriale, configurandosi dunque l'illecito penale in termini di reato di pericolo concreto (sul punto cfr. Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2006), integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei - secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario - a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018). Al fine di colorare di illiceità penale la condotta, non è sufficiente che gli atti siano oggettivamente finalizzati a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, ma è necessario che gli stessi si caratterizzino altresì per la loro natura simulatoria o, ciò che rileva nel caso in esame, fraudolenta. Con riguardo, in particolare, alla nozione di "atti fraudolenti", devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand'anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l'esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018; Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012). Per "atto fraudolento" deve perciò intendersi qualsiasi atto, connotato da una componente di artificio, inganno o menzogna, che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio - o comunque rendendo più difficoltosa - l'azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell'Erario. La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell'agente è stata sottolineata dalle Sezioni Unite di Cassazione (sentenza n. 12213 del 21/12/2017) che, nell'ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti che rilevano per l'integrazione del delitto di cui all'art. 388 cod. pen., norma il cui schema risulta richiamato dall'art. 11 del d.lgs. n. 74/2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui, in quest'ottica, può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi in definitiva far coincidere la natura simulata dell'alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le legittime aspettative dell'Erario. In forza delle superiori considerazioni, gli Ermellini danno continuità al principio, secondo cui ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 74/2000, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva. (Sez. 3, n. 35983 del 17/09/2020: fattispecie in cui la Corte ha reputato immune da censure la decisione del giudice di merito che ha reputato quale atto fraudolento la cessione, da parte dell'imputato, della propria azienda per un prezzo irrisorio in favore di una società non operativa, creata ad hoc al solo scopo di effettuare l'acquisto e apparentemente amministrata dalla suocera). Tornando al caso di specie, la motivazione della sentenza non appare dunque conforme ai principi richiamati, in quanto l'esegesi prospettata dal Tribunale restringe indebitamente la nozione di 'atto fraudolento', per molti aspetti travisandola e, dunque, prospettandone l'erronea applicazione, e ciò in quanto confonde la nozione di fraudolenza con quella di illiceità dell'atto e, per di più, ponendo l'accento, in maniera atomistica, solo su una singola condotta (ossia lo svuotamento dei conti correnti sociali, avvenuto mediante bonifici, e quindi con modalità tali da consentirne la tracciabilità), la quale, invece, deve essere valutata unitamente a tutte le altre, nel loro collegamento finalistico e nella sequenza funzionale, sicché la verifica della fraudolenza va effettuata avendo a mente di tutte le condotte realizzate che vanno a comporre l'intero meccanismo, nei termini sopra descritti, e che, secondo l'ipotesi di accusa, sarebbe stato ideato e attuato dall'indagata.