Con l'ordinanza n. 26054 del 5 settembre 2022 la Corte di Cassazione fornisce chiarimenti in merito al calcolo degli interessi in caso di vittoria in giudizio del contribuente. IL FATTO Una Fondazione impugnava il diniego di rimborso degli interessi maturati, dalle date del pagamento, su somme corrisposte a titolo di sanzioni, dopo che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24060/2014, aveva dichiarato non dovute le sanzioni irrogate con un avviso di accertamento. La Commissione Tributaria Provinciale di Lucca accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che la situazione andasse qualificata come indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che, data la buona fede dell'accipiens, gli interessi dovevano essere calcolati dalla data della domanda di restituzione. Sull'impugnazione principale dell'Agenzia delle Entrate ed incidentale del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana accoglieva l'appello incidentale, ritenendo che la situazione giuridica dovesse essere inquadrata nell'ipotesi di indebito di restituzione, sicchè, non rilevando la buona o mala fede dell'accipiens, gli interessi dovevano essere calcolati dal giorno del pagamento sia sull'importo delle sanzioni a suo tempo versate dalla contribuente sia sull'importo degli interessi a suo tempo applicati per ritardato pagamento sia ancora sugli aggi e diritti dell'Agente della riscossione. Avverso tale decisione l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. L'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992 (cui rinvia l'art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997) è inserito nel Capo IV, dedicato all'esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie, ed è intitolato "Pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie in pendenza de/processo". Lo stesso prevede, al primo comma, che: «Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della Commissione Tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della Commissione Tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione Tributaria regionale. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.» Il secondo comma, poi, stabilisce che «Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della Commissione Tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.» Da ultimo, il terzo comma prevede che «Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in Cassazione.» Pertanto, in pendenza del processo: 1) dopo la sentenza della Commissione Tributaria provinciale: - che respinge il ricorso: pagamento dei due terzi (lettera a); - che accoglie parzialmente il ricorso: pagamento dell'ammontare risultante della sentenza e, comunque, non oltre i due terzi (lettera b); 2) dopo la sentenza della Commissione Tributaria regionale: pagamento del residuo (lettera c). L'articolo 68 parte dal presupposto che la pretesa tributaria non è certa sino all'ultimo grado di giudizio ed è divenuta la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12/11/2010, n. 22997; 10/06/2011, n. 12791). La norma è fonte di un'obbligazione ex lege da indebito, atteso che, quando l'impugnazione della parte trova definitivo accoglimento e la pretesa tributaria che ne è oggetto viene caducata nell'intero o solo in parte, l'amministrazione, in virtù dell'obbligo da essa stabilito — ma più in generale dell'obbligo che civilisticamente compete a chiunque è destinatario di un pagamento privo di causa —, è tenuta ex officio ad eseguire il prescritto rimborso delle somme dovute, maggiorate degli interessi di legge, entro il termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza. Va rilevato che il carattere impugnatorio proprio del processo tributario, in relazione agli atti previsti dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, segna la distinzione tra lo stesso ed il processo civile, impedendo di ricondurre l'oggetto del primo all'accertamento di un'obbligazione. Ne consegue che non è applicabile al giudizio tributario, per mancanza dei relativi presupposti, l'art. 389 c.p.c., che disciplina l'ipotesi di domande di restituzione e riduzione in pristino conseguenti alla cassazione della sentenza, e che, prevedendo il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, il rimborso d'ufficio entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest'ultimo, non ricevendo il prescritto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare il rimborso in sede amministrativa e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito (Cass. n. 20616 del 2008; conf. Sez. 5, sentenza n. 7222 del 13/04/2016). Avuto particolare riguardo alle sanzioni, va ricordato che l'ufficio non ha la necessità di attendere il passaggio in giudicato, potendo procedere all'iscrizione a ruolo immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza. In ossequio al principio secondo il quale la pretesa tributaria è certa solo dopo il passaggio in giudicato di una sentenza, il comma 3 dispone che le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie siano dovute solo se la sentenza è impugnabile esclusivamente innanzi alla Corte di Cassazione. Tuttavia, il tema del decidere è regolato dal principio di diritto secondo cui, con riferimento alla riscossione frazionata di sanzioni, a norma dell'art. 68, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella formulazione vigente dal 1° aprile 1998, a seguito dell'intervento abrogativo dell'art. 29 del d.lgs. n. 472/1997, riguardante proprio le sanzioni pecuniarie, l'applicazione delle medesime (recte, la loro riscossione frazionata), in caso di esecuzione frazionata, può avvenire anche antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che ad esse si riferisca (Cass. 4/12/2013, n. 27201; 11/10/2017, n. 23784). Occorre altresì tener presente che l'art. 19 d.lvo 472/97 intitolato, «Esecuzione delle sanzioni», dispone che «In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall'articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario». Da questo inquadramento deriva che la fattispecie è riconducibile nello schema della condictio indebiti e, soprattutto, è sussumibile in quella dell'annullamento dell'atto impositivo presupposto in sede giurisdizionale, disciplinata dall'art. 68, comma 2, del d.lgs. n. 564 del 1992, secondo cui, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso del contribuente, il tributo da questi corrisposto in eccedenza deve essere restituito "con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali". Ricollegandosi la domanda restitutoria ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione annullata (avendo la riforma o la cassazione della sentenza provvisoriamente eseguita un effetto di restitutio in integrum e di ripristino della situazione precedente), tra le voci in relazione alle quali vanno calcolati gli interessi, sia pure nella misura prevista dalle leggi fiscali, va senz'altro ricompreso altresì l'aggio, il quale, come è noto, consiste nella remunerazione che, fino al 2015, l'Agente della riscossione percepiva (nella percentuale del 6% del debito) per la sua attività di riscossione per ogni cartella. Alcunchè può, invece, essere riconosciuto a titolo di interessi sugli interessi moratori a suo tempo applicati per ritardato pagamento, atteso che, essendosi al cospetto di un debito di valuta, trova applicazione il principio nominalistico, con la conseguenza che, oltre alla restituzione della stessa quantità di moneta, spettano al creditore gli interessi legali e gli eventuali ulteriori danni di cui all'art. 1224, secondo comma, c.c. che egli sia riuscito a dimostrare (Sez. 2, sentenza n. 1779 del 29/01/2007), ma non anche gli interessi sugli interessi, realizzandosi, altrimenti, un fenomeno anatocistico. A tal ultimo proposito, va evidenziato che, alla luce del chiaro disposto dell'art. 1283 c.c. (il quale prevede la produzione di interessi sugli interessi scaduti solo dalla data della domanda giudiziale o, in virtù, di espressa convenzione e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi), nonché alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui dal principio stabilito nell'art. 1283 c.c., come sopra illustrato, consegue che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari), e cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora, e che vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi. Per le obbligazioni dell'amministrazione finanziaria di rimborso di imposte, in particolare, il contribuente-creditore è tenuto ad indicare tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale e, soprattutto, è tenuto a formulare la richiesta nell'atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso d'imposta, non potendosi gli interessi anatocistici considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica all'accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi (Cass. n. 11171 del 2013; S.U. n. 13478 del 2008; Cass. n. 4935/2006; n. 4830/2004; da ultimo Cass. n. 8156 del 2016). L'art. 44 del d.P.R. n. 602/1973, al comma 1 (che disciplina il tasso d'interesse dovuto al contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo), prevede che "Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del sei per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente di finanza o dell'elenco di rimborso." Pertanto, il d.P.R. n. 602 del 1973, all'art. 44, nel prevedere il tasso di interesse (modificato di volta in volta da successivi e periodici decreti ministeriali) sulla restituzione di somme versate, a titolo di imposte dirette, in eccedenza a quanto effettivamente dovuto per il periodo in considerazione, stabilisce che il contribuente ha diritto alla corresponsione di tale interesse per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, ricompresi tra la data del versamento e quella dell'ordinativo con il quale venga, in concreto, effettuata la restituzione della maggiore imposta versata. La Suprema Corte ha in passato (Sez. 1, sentenza n. 13137 del 06/12/1991) affermato che gli interessi sui crediti verso lo Stato, derivanti da rimborsi di tributi, sono assoggettati, in considerazione della specialità della materia fiscale, ad una disciplina diversa da quella adottata in campo civilistico, con la conseguenza che tale specifica disciplina (nella specie, si trattava dell'art. 199-bis d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645) assorbe e sostituisce la seconda, sicché agli interessi nella misura dalla stessa fissata non sono cumulabili gli interessi legali determinati dall'ordinaria normativa codicistica. La specialità della materia fiscale giustifica la diversa disciplina dettata in materia dal legislatore, che ha voluto regolare secondo modalità diverse da quelle adottate in campo civilistico gli interessi su crediti derivanti da rimborsi di tributi, a carico dello Stato (cfr. ord. C. Cost. 288-88; 93-89). Anche nella giurisprudenza di legittimità, pur in assenza di precedenti specifici, l'applicabilità del suddetto principio di specialità è chiaramente deducibile da alcune decisioni (cfr. sent. n. 2029-90), le quali si riferiscono agli interessi dovuti dall'Amministrazione dello Stato in dipendenza pur sempre di un rapporto giuridico tributario. In quest'ottica, alle obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta non sono applicabili gli artt. 1224, primo comma, e 1284 c.c., stante, appunto, la speciale disciplina dell'art. 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, relativa, ripetesi, a tutti gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria in dipendenza di un rapporto giuridico tributario. Nel caso di specie, l'obbligo di restituzione degli interessi sulle sanzioni indebitamente percepite deriva da un rapporto tributario, pur rappresentando l'effetto dell'annullamento in sede giurisdizionale del titolo sulla cui base il pagamento, poi rivelatosi indebito, era avvenuto, ragion per cui non trovano applicazione i principi codicistici dettati con riferimento alle obbligazioni pecuniarie. Pertanto pur trattandosi di un credito restitutorio, il suo regime non potrà ricavarsi dall'art. 1224 c.c.. Da ciò deriva (cfr., in tal senso, Cass. n. 15246 del 2012 e n. 22217 del 2008) altresì che, mentre il dies a quo di decorrenza degli interessi deve essere individuato, ai sensi degli artt. 38 e 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento (anziché nelle date dei pagamenti poi rivelatisi indebiti), il termine finale della decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare va individuato non già nella data del saldo finale effettivo, bensì in quella in cui avviene l'emissione del mandato di pagamento (restando, per l'effetto, rilevanti, a tal fine, sia la data della comunicazione dell'emissione stessa al contribuente, sia quella dell'effettivo accredito della somma da rimborsare). In altri termini, il tasso legale al quale occorre fare riferimento per la liquidazione degli interessi sulla restituzione della maggiore imposta pagata, è quello vigente - in forza dei decreti ministeriali emessi in materia - al momento in cui viene a scadenza ciascun singolo semestre, giacché è solo in tale momento che il diritto alla percezione di detti interessi viene a maturare a favore del contribuente.