Una perdita su crediti è deducibile in base all’articolo 101, comma 5, del Tuir nel caso in cui la cessione pro soluto ha determinato un differenziale che sia motivato, perché in caso contrario esso può essere sintomatico di una plateale antieconomicità che comporta l’assenza di inerenza del componente negativo di reddito, in quanto l’operazione ha carattere erogatorio e non produttivo. È questo il principio di diritto della sentenza n. 8714/2024 della Cassazione. IL FATTO L’agenzia delle Entrate aveva notificato per il 2008 un avviso di accertamento al contribuente contestando la minusvalenza nella cessione pro soluto di un credito per circa 13 milioni di euro, recuperando a tassazione Ires e Irap per circa 3,8 milioni di euro. Nell’avviso l’Agenzia contestava la fattispecie elusiva dell’operazione secondo l’articolo 37-bis del Dpr 600/73 in quanto la perdita su crediti, priva degli elementi certi e precisi del comma 5 dell’articolo 101 del Tuir, era stata tramutata in una minusvalenza ai sensi del comma 1. La Ctr del Lazio aveva dato ragione all’Agenzia, ribaltando il giudizio di primo grado. Il contribuente nel ricorso in Cassazione insiste circa il fatto che si tratti di una minusvalenza che, come tale, non richiederebbe i requisiti del comma 5 (certezza e precisione). LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione rigetta il motivo in quanto ritiene che ci siano state già altre pronunce che hanno confermato che la cessione pro soluto a prezzo vile sia da ricondurre ad una perdita su crediti (Cassazione 13181/00 e 14568/01). Quindi tranne nell’ipotesi in cui si verta in una procedura concorsuale, il contribuente dovrà dimostrare la presenza degli elementi certi e precisi che consentono di dedurre la perdita, e il giudice potrà liberamente apprezzare se la prova è stata fornita (Cassazione 5357/06 e 5183/20). Non basta quindi la pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto, ma bisogna indicare le ragioni che hanno consigliato l’operazione ed il conseguente recupero solo parziale, in quanto fuori dalle procedure concorsuali non esiste un automatismo che consente di dedurre le perdite (Cassazione 16823/14). Quindi il corrispettivo pattuito non integra di per sé gli elementi certi e precisi (Cassazione 5787/21), perché il minor valore di cessione può essere giustificato solo da una minore garanzia patrimoniale della società debitrice che non consente di realizzare in toto il credito (Cassazione 20450/11). Quindi nel ribadire la necessità degli elementi certi e precisi, la Cassazione conferma che tanto le minusvalenze quanto le perdite ex articolo 101 del Tuir presuppongono un sindacato di inerenza del costo (Cassazione 447/15 e 9784/19). Pertanto in entrambe le circostanze il componente negativo sarà deducibile se si dimostrano le ragioni di convenienza economica che hanno determinato l’accettazione di un corrispettivo molto inferiore al valore nominale dei crediti (Cassazione 5787/21, 2229/22, 5790/21 e 16539/18). Quindi la Corte boccia la tesi del contribuente per cui non vi sarebbe alcun interesse a trasformare una perdita su crediti indeducibile in una minusvalenza deducibile. Ciò in ragione del fatto che, a differenza di quello che ritiene il contribuente, non è vero che la perdita derivante da un credito pro soluto è per definizione sempre certa e precisa. In realtà la certezza e la precisione (nonché l’inerenza) del componente negativo in questione costituiscono presupposti necessari della sua deducibilità. Infatti in assenza dei requisiti della certezza e precisione la perdita sarà sempre indeducibile ex articolo 101 comma 5 del Tuir, a prescindere dalla condotta elusiva individuata nel travaso della perdita su crediti nella minusvalenza. La Cassazione conferma la tesi della Ctr, chiarendo che il giudizio riguarda la norma vigente nel 2008 e prescinde da tutte le modifiche che nel tempo le perdite su crediti hanno subito.