Visto leggero: responsabile il commercialista che non controlla
Compie due reati in un colpo solo, in concorso con l’imprenditore, il commercialista che rilascia il visto di conformità Iva senza controllare i dati esposti nella denuncia in base ai documenti: da una parte la dichiarazione fraudolenta, dall’altra l’indebita compensazione dei crediti. E ciò anche quando il visto rilasciato è quello leggero di cui all’articolo 2, comma primo, del decreto del ministero dell’Economia n. 164 del 31/05/1999 e non quello pesante del comma secondo: il professionista abilitato deve controllare la conformità alle regole su deducibilità, detraibilità, crediti d’imposta e scomputo delle ritenute d’acconto. Così la Corte di cassazione penale, sez. terza, nella sentenza n. 14954 dell’11 aprile 2024.
Diventa definitiva la condanna per i reati di cui agli articoli 2 e 10-quater del decreto legislativo del 10/03/2000, n. 74 inflitta al commercialista in concorso col gestore di fatto della società. Il professionista appone il visto di conformità sulla dichiarazione che utilizza fatture per operazioni oggettivamente inesistenti pari a circa 8,2 milioni di imponibile: è in malafede o accetta consapevolmente il rischio che siano del tutto falsi i dati contabili inviatigli per la compensazione dei crediti Iva.
Si limita a far correggere il codice Ateco della società, relativo all’attività edilizia, mentre le fatture riguardano la vendita di capi d’abbigliamento, peraltro per importi ingenti. Ma non s’insospettisce né compie accertamenti di immediata fattibilità sulle società che emettono le fatture, tutte con la stessa veste grafica nonostante formalmente provengano da imprese diverse: l’imputato avrebbe scoperto che sono cessate da anni, mentre le uniche acquirenti sono cartiere. Manca di verificare le modalità di pagamento, nonostante i versamenti cospicui debbano essere tracciabili. Insomma: il professionista si è prestato dopo essere stato contattato da un collega di un’altra regione, risultato autore delle fatture false e collega di studio di sua sorella, anche lei commercialista. Il tutto mentre la società si è rivolta proprio a lui mentre risulta assistita da vari studi professionali.
Non c’è dubbio, dunque, sulla colpevolezza dell’imputato che omette in modo consapevole di compiere i controlli dovuti, dai quali sarebbe emersa la natura fraudolenta della dichiarazione: verifiche che non possono esaurirsi nella corrispondenza aritmetica fra il dato numerico riportato nelle fatture e quello indicato in denuncia ma devono estendersi ai documenti sottesi alle operazioni.