L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta n. 134 del 18 giugno 2024 in tema soccida semplice e monetizzata e trattamento ai fini IVA. In recenti sentenze, intervenendo sulla nozione e acquisizione dello status di imprenditore agricolo a seguito della stipula di un contratto di soccida, sia fini civili che fiscali, la Corte di Cassazione chiarisce che il contratto di soccida si configura quale contratto agrario di tipo associativo per l'esercizio dell'attività di allevamento sicché, ai sensi dell'art. 2135, cod. civ., lo stesso dà luogo ad un'impresa agricola associata, di cui sono contitolari, sebbene con obbligazioni e funzioni diverse, sia il soccidante che il soccidario. Quel che rileva è il fatto che, per effetto dello svolgimento di una impresa agricola in forma associata, il soccidante ed il soccidario condividono il comune rischio di impresa assunto con la stipula del contratto, sicché gli stessi sono contitolari dell'impresa di allevamento e, quindi, sono entrambi imprenditori agricoli. Ne consegue che, essendo entrambi imprenditori agricoli, sulla cessione dei prodotti di cui alla tabella A, parte I, allegata al d.P.R. n. 633/1972, derivanti dal comune esercizio dell'impresa di allevamento, sia il soccidante che il soccidario possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell'Iva di cui all'art. 34 del Decreto IVA, il quale rinvia puramente e semplicemente alla previsione di cui all'art. 2135, cod. civ., per l'individuazione dei produttori agricoli ai fini dell'applicazione del regime speciale, ponendo, sotto tale profilo, una chiara assimilazione fra la nozione civilistica di imprenditore agricolo e quella fiscalmente rilevante agli effetti dell'applicazione del suddetto regime speciale IVA. Ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto, questi principi non sembrano avere portata innovativa rispetto alla prassi dell'Amministrazione finanziaria, sebbene questa sia risalente nel tempo. La citata prassi si è pronunciata in modo conforme, rendendo noti i principi interpretativi di ordine generale che regolano la soccida, i quali pertanto non appaiono smentiti dalle recenti pronunce della Cassazione. In particolare, confermando le conclusioni della circolare 27 aprile 1973, n. 32, parte VII, la circolare 9 febbraio 1995, n. 48 riafferma quanto segue: -la fase costitutiva e quella estintiva della soccida semplice non rappresentano fattispecie a carattere traslativo in quanto ciò è espressamente affermato dagli articoli 2171, 2 comma, e 2181 del codice civile sopra riportati. Infatti, per l'articolo 2171, 2 comma, del codice civile, il conferimento del bestiame da parte del soccidante non viene considerato trasferimento del diritto di proprietà da parte dello stesso, con la conseguenza che gli atti generatori il contratto di soccida non sono fattispecie aventi rilievo ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. Identica affermazione può farsi relativamente alla fase estintiva del menzionato rapporto contrattuale. Ed invero, per quanto riguarda la soccida semplice, il soccidante preleva, al termine della stessa, un complesso di capi che per numero, razza, sesso, peso e quantità siano corrispondenti al bestiame originariamente apportato (art. 2181 c.c.), in pratica riassumendo la materiale disponibilità del proprio bestiame inizialmente conferito. Si tratta dunque di operazioni fuori campo IVA. La divisione dell'accrescimento è un atto dichiarativo dell'acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame oggetto del contratto di soccida'' e dunque anch'esso fuori campo IVA. Sia il conferimento che la divisione del bestiame, pur essendo atti non assoggettati ad IVA, non precludono la detrazione forfetizzata per le successive cessioni. In merito alle cessioni aventi a oggetto i frutti dell'allevamento, la circolare n. 32 del 1973 e la risoluzione n. 504929 del medesimo anno, nonché la risoluzione 28 maggio 1980, n. 381861, valutano: sia l'ipotesi in cui il soccidante e il soccidario vendono direttamente detti frutti, previa ripartizione dell'accrescimento, sia quella in cui è il solo soccidante a provvedere alla vendita dell'intero accrescimento, impegnandosi a corrispondere al soccidario la sua quota, anche in via anticipata. Nel primo caso, entrambi effettuano delle cessioni rilevanti ai fini IVA, mentre nel secondo caso è solo il soccidante a effettuare una siffatta cessione e la somma in denaro spettante al soccidario è corrisposta dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi: tale somma va pertanto considerata come spettante al soccidario a titolo di assegnazione, e pertanto non soggetto ad imposta sul valore aggiunto. Nel secondo caso di cui sopra si è in presenza di una c.d. soccida monetizzata, fattispecie non disciplinata dal codice civile, ma sovente riscontrabile nella prassi commerciale e per questo oggetto di chiarimenti sia da parte dell'Amministrazione finanziaria, sia della Corte di Cassazione. Nella soccida monetizzata, le parti si accordano per la liquidazione forfetizzata e in denaro della quota di accrescimento spettante al soccidario, sicché non avviene la previa individuazione, determinazione e divisione dell'accrescimento tra soccidante e soccidario. Il soccidante preleva l'intero accrescimento, lo vende a terzi e provvede a corrispondere parte del ricavato al soccidario, nella misura previamente concordata. Poiché la divisione dell'accrescimento è un atto dichiarativo dell'acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame oggetto del contratto di soccida, nella soccida monetizzata, mancando questo momento, non avviene in capo al soccidario un acquisto a titolo originario della sua quota di accrescimento e pertanto nessuna cessione di beni, nel senso inteso dall'articolo 2 del Decreto IVA, può essere dallo stesso effettuata a favore del soccidante piuttosto che di un soggetto terzo. La quota dell'intero ricavato spettante al soccidario (c.d. monetizzazione) assume dunque la natura di utile e in quanto tale non è soggetta a IVA. Sulla natura di questa somma ha avuto modo di pronunciarsi anche la Corte di Cassazione secondo cui la monetizzazione della quota del soccidario non può equipararsi alla cessione di denaro o altro titolo di credito in denaro, soggetta, come tale ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a) costituendo al contrario suddivisione degli utili conseguenti allo svolgimento di un'attività eseguita in forma associativa, come tale non rientrante nella previsione dell'art. 2 del Decreto IVA richiamato. La cessione di denaro che non inibisce il diritto alla detrazione è ''da ritenersi, difatti, configurabile solo quando le parti pongano in essere un trasferimento di denaro che passi in proprietà al cessionario, come nel caso del mutuo o del deposito irregolare, nei quali avendo il contratto ad oggetto beni fungibili insorge esclusivamente l'obbligo, per il mutuatario e per il depositario che divengono proprietari della somma entrata nella loro disponibilità, di restituire il tantundem eiusdem generis et qualitatis (Corte di Cassazione, sentenza 11 dicembre 2013, n. 27715, nonché sentenza 15 luglio 2015, n. 14791 e ordinanza n. 11592 del 2021). Il principio dell'afferenza, come noto, preclude in linea generale la detrazione dell'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni attive esenti o fuori campo. Pertanto, nella soccida monetizzata, se il soccidario non effettua operazioni attive rilevanti ai fini IVA, limitandosi a percepire a titolo di utile la monetizzazione delle sue quote di accrescimento, non può detrarsi l'IVA assolta sugli acquisti, ancorché inerenti, perché ''a valle'' effettua operazioni fuori campo IVA e dunque non ci sono nemmeno cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell'allegata tabella A sul cui ammontare imponibile applicare le percentuali di compensazione.