L'accertamento parziale di cui al comma 1, articolo 41 bis del Dpr 600/1973 può essere seguito da un successivo accertamento, senza che si manifesti la necessità di rappresentare gli elementi sopraggiunti, come invece prescritto per l’accertamento integrativo di cui all’articolo 43 del Dpr 600/1973. L’accertamento parziale, infatti, a differenza di quello generale disciplinato da quest’ultimo articolo, non richiede la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Amministrazione finanziaria, che devono essere indicati in maniera specifica nel nuovo accertamento a pena di nullità. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione mediante l’ordinanza n. 22237 del 5 settembre 2019. La Suprema Corte, affrontando la vicenda della reiterazione degli atti di accertamento afferenti il medesimo periodo d’imposta, ha evidenziato alcune accortezze che dovrebbero influenzare l’azione accertativa dell’agenzia delle Entrate. Nell’ordinanza in commento è stato affermato che l’accertamento parziale, per poter essere qualificato come tale, deve avere alla base un sintomo che consenta di stabilire l’esistenza di un maggior reddito. In precedenza la sentenza 18065/2010 era intervenuta sulla vicenda, qualificando illegittimo l’atto di accertamento emesso dopo il parziale qualora fondato sui medesimi elementi oggetto dell’atto antecedente, in quanto «la locuzione che apre le disposizioni di cui al Dpr 600, articolo 54 e poi articolo 41 bis, che fa salva, in questi casi, l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, fa riferimento necessariamente a pretese dell’Ufficio che si basano su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale». L’ammonimento risulta efficace in quanto recupera quell’esigenza di razionale coordinamento delle attività istruttorie che non può essere disconosciuta dal legislatore sino a quando è in vigore la previsione per la quale l’accertamento integrativo risulta essere ammissibile solo se fondato sulla sopravvenuta conoscenza di ulteriori elementi. Non risulta tuttavia chiarito se l’illegittimità dell’atto che si qualifica come parziale senza possederne le caratteristiche, debba essere dedotta impugnando il parziale oppure costituisca un vizio proprio del susseguente atto di accertamento, emesso senza la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, applicando pertanto l’articolo 41 bis in luogo del più rigoroso articolo 43 del Dpr 600/1973. Il vizio dovrebbe essere imputabile all’atto parziale che rappresenta, in maniera erronea, l’autorità in forza della quale lo stesso è stato emanato che diviene concretamente rilevante, nell’ambito di una tangibile violazione dell’interesse del contribuente, esclusivamente nel momento in cui viene emanato un successivo atto che può essere considerato legittimo solamente se il primo risulta essere concretamente e legittimamente parziale. L’ordinanza in esame, pur lasciando trasparire alcune titubanze sul concorso di atti di accertamento “a singhiozzo”, asserisce, conformemente ai precedenti giurisprudenziali, che l’interesse a rilevare il vizio emerge esclusivamente se al sedicente parziale segue un secondo atto impositivo. Precedentemente l’ordinanza n. 23685/2018 aveva contribuito a infrangere l’ostacolo giurisprudenziale a sostegno del parziale, dando la possibilità di giudicare la legittimità dell’atto successivo all’accertamento parziale e, in tale contesto, aveva fatto riferimento a una valutazione di carattere sistematico seguendo la quale, l’interpretazione delle norme sugli accertamenti parziali non può prescindere dalla circostanza che tali disposizioni convivono con quelle sugli accertamenti integrativi e modificativi, senza sostituirvisi.