A seguito di una riorganizzazione aziendale, il dipendente che rifiuta una ricollocazione, anche presso altra sede, non può poi chiedere il danno da demansionamento per la nuova posizione assegnatagli. La Corte di cassazione, ordinanza n. 17634 del 1° luglio 2019, ha così respinto il ricorso di una addetta alle vendite di Telecom Italia spostata al call center "187" a seguito della riduzione della forza lavoro della società nell'area di Brescia. Alla ricorrente, in alternativa, era stato proposto il supporto vendite a Milano o il ruolo di venditrice nel negozio aziendale Telecom/Tim di Brescia. La donna però aveva rifiutato insistendo nel voler conservare il vecchio impiego nel frattempo assegnato ad un collega, unico superstite dopo la riorganizzazione. Proposto ricorso, dopo una prima vittoria in Tribunale, la Corte di appello ha validato la scelta aziendale che «non essendo pretestuosa o irrazionale o in mala fede» rientrava nel legittimo esercizio della sua discrezionalità. Proposto ricorso in sede di legittimità, la dipendente, tra l'altro, ha lamentato che «erroneamente» la Corte territoriale aveva ritenuto il rifiuto delle posizioni offerte idoneo ad escludere l'onere della società di fornire la prova dell'«inesistenza di altre posizioni di lavoro con mansioni equivalenti in grado di preservare la professionalità acquisita». Per la Suprema corte, però, il motivo non coglie nel segno dal momento che la sentenza di appello ha ritenuto «giustificata l'adibizione a mansioni in parte estranee alla professionalità e all'esperienza pregresse in assenza di ulteriori posizioni di lavoro di analogo contenuto professionale, stante il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni offerte dalla società». Non solo, ha anche accertato che le «mansioni di customer care 187», attribuite alla lavoratrice, rientravano nel medesimo livello di inquadramento (4° livello del Ccnl del settore). Per cui, prosegue la decisione, la Corte ha «correttamente» ritenuto che non vi fosse stata violazione dei principi stabiliti dal codice civile (art. 2103 c.c.) in materia di mansioni. «E, infatti - continua l'ordinanza -, costituendo il demansionamento un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro, su di lui incombe l'onere di provare l'esatto adempimento di tale obbligo, oppure l'impossibilità dell'adempimento». In conclusione, «in base all'art. 1218 c.c.: il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni di lavoro offerte dalla società è stato correttamente ritenuto dalla Corte di merito elemento di esonero dalla responsabilità per l'inadempimento».