Con l'ordinanza n. 20746 del 1° agosto 2019, la Corte di Cassazione è intervenuta sull'imponibilità in capo al cedente della cessione d’azienda con corrispettivo rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia In particolare, si conferma che questo particolare schema negoziale comporta per il cedente: - il realizzo di una plusvalenza imponibile (art. 86 comma 2 del TUIR), determinabile sulla base di un corrispettivo pari al credito che sorge a fronte della costituzione della rendita vitalizia (valore attuale della rendita stessa); - la successiva (ed eventuale) imponibilità del reddito assimilato a quello di lavoro dipendente che viene prodotto con il pagamento periodico della rendita vitalizia. Ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. h) del TUIR, infatti, costituiscono redditi assimilati a quello di lavoro dipendente le rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato costituite a titolo oneroso, diverse da quelle aventi funzione previdenziale. La durata della rendita vitalizia è commisurata alla vita del beneficiario o di altra persona fisica determinata; può essere costituita, oltre che tramite un atto a titolo oneroso, anche attraverso contratto di donazione, contratto a favore del terzo, contratto di assicurazione, divisione e promessa al pubblico. Secondo i giudici di legittimità, ai fini delle imposte sui redditi si configura una plusvalenza tassabile nel caso di cessione di azienda (nella specie una farmacia) con costituzione di una rendita vitalizia a favore del cedente, ai sensi dell'art. 1872 c.c., posto che essa può costituire il corrispettivo di un'alienazione patrimoniale che, pur assicurando una utilità aleatoria quanto all'ammontare concreto delle erogazioni che saranno eseguite, ha un valore economico agevolmente accertabile con riferimento a calcoli attuarali. Viene escluso anche il rischio della doppia imposizione del medesimo reddito, in quanto la rendita vitalizia risulta assimilabile ai fini fiscali al reddito da lavoro dipendente (cfr anche Cass. 8 marzo 2013 n. 5886 e 11 maggio 2007 n. 10801). La sentenza, poi, ribadisce che la tassazione della plusvalenza segue il principio di competenza, quindi, ai sensi dell'art. 109 comma 2 lett. a) del TUIR, essa concorre alla formazione del reddito nell'esercizio in cui l'atto viene stipulato, tenuto conto sia della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, sia della determinabilità del valore della rendita sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale (cfr. Cass. 14 febbraio 2018 n. 3518 e 11 maggio 2007 n. 10801). Del resto, l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 17181/2018 aveva già precisato che il fatto che il corrispettivo non venga espresso in cifre non impedisce di determinare il valore del credito alla percezione di una rendita vitalizia, posto che mediante calcoli attuarali è determinabile il valore attuale della medesima. In merito al regime fiscale del cessionario, sempre la stessa ordinanza ha precisato che l'ammontare della rendita vitalizia erogato come corrispettivo a seguito dell'acquisizione non costituisce un costo di gestione deducibile ai sensi dell'art. 109 del TUIR. Esso trova rilevanza fiscale quale onere non già di esercizio, bensì di acquisizione dell'azienda. Rileva il perfezionamento del contratto Con riferimento alla plusvalenza realizzata mediante cessione a titolo oneroso dell'azienda, l'art. 86 comma 2 del TUIR prevede che essa risulta costituita dalla differenza fra: - il corrispettivo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione; - il costo non ammortizzato. La plusvalenza realizzata nell'ambito della cessione d’azienda deve essere determinata unitariamente e non con riferimento ai singoli beni (asset) che la compongono. In merito, l’ordinanza osserva che il menzionato art. 86 del TUIR collega la tassabilità delle plusvalenze sui beni dell’impresa alla loro cessione a titolo oneroso, ossia al negozio che faccia uscire detti beni dalla sfera patrimoniale dell’imprenditore a fronte di un corrispettivo. Il momento rilevante, ai fini impositivi, per la realizzazione della plusvalenza, quindi, è quello del perfezionamento del contratto per effetto del consenso delle parti.