Il processo verbale della Guardia di finanza è utilizzabile in materia penale anche in assenza delle garanzie riservate dal codice all’imputato. È infatti necessario indicare la specifica norma del codice di procedura penale che si assume violata per determinare l’inutilizzabilità delle parti del documento redatte senza le garanzie per l’imputato. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 50009 dell’11 dicembre 2019, ha respinto il ricorso di un imprenditore accusato di vari reati fiscali e che lamentava la redazione del pvc prolungata per anni, senza alcuna comunicazione di notitia criminis in Procura, in spregio alle garanzie riservate all’indagato. In passato la Suprema Corte ha già avuto modo di prendere in considerazione la natura del «verbale di costatazione» redatto da personale della Guardia di Finanza o dai funzionari degli Uffici Finanziari, rilevando che esso è qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e, in quanto tale, acquisibile ed utilizzabile ai fini probatori ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen. Si è anche osservato che non si tratta di un atto processuale, poiché non è previsto dal codice di rito o dalle norme di attuazione (art. 207); ne' può essere qualificato quale «particolare modalità di inoltro della notizia di reato» (art. 221 disp. att. cod. proc. pen.), in quanto i connotati di quest'ultima sono diversi. Si è tuttavia precisato che, nel momento in cui emergono indizi di reato e non meri sospetti, occorre, però, procedere secondo le modalità prescritte dall'art. 220 disp. att. cod. proc. pen, con la conseguenza che la parte di documento, compilata prima dell'insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. La richiamata disposizione stabilisce che «quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice». A tale proposito la Cassazione ha pure osservato (Sez. 3, n. 27682 del 17/06/2014, Palmieri) come, dalla semplice lettura della norma, emerga che essa presuppone, per la sua applicazione, un'attività di vigilanza o ispettiva in corso di esecuzione specificamente prevista da disposizioni normative e la sussistenza di indizi di reato emersi nel corso dell'attività medesima e solo in tal caso è richiesta l'osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all'assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l'applicazione della legge penale. Nella medesima decisione si è fatto anche rilevare come la disposizione, che va letta in relazione anche al successivo art. 223, relativo alle analisi di campioni da effettuare sempre nel corso di attività ispettive o di vigilanza ed alle garanzie dovute all'interessato, abbia lo scopo evidente di assicurare l'osservanza delle disposizioni generali del codice di rito dal momento in cui, in occasione di controlli di natura amministrativa, emergano indizi di reato, ricordando anche quella giurisprudenza secondo la quale presupposto dell'operatività della norma non è l'insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall'art. 192 cod. proc. pen., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005 (dep. 2006), Cacace; Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri). Più recentemente, si è anche avuto modo di precisare ulteriormente che, tenendo conto del dato letterale dell'art. 220, risulta chiaramente che lo stesso si riferisce ad indizi di reato che emergono "nel corso" delle attività ispettive o di vigilanza, il che porta ad affermare che la cognizione circa la sussistenza di indizi di reità, ancorché non riferibili ad un soggetto specifico, deve risultare oggettivamente evidente a chi opera mentre effettua tale attività e non deve essere soltanto ipotizzata sulla base di mere congetture, né può ritenersi possibile, dopo che un reato è stato accertato, sostenere che chi effettuava il controllo avrebbe dovuto prefigurarsi quale ne sarebbe stato l'esito (Sez. 3, n. 1 6044 del 28/2/2019, Rossi). La giurisprudenza della Suprema Corte si è anche ripetutamente pronunciata sulle conseguenze della eventuale inosservanza della disposizione in esame, chiarendo che essa non determina automaticamente l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l'inutilizzabilità o la nullità dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'art. 220 disp. att. rimanda e che, diversamente opinando, si giungerebbe a ritenere l'inutilizzabilità di tutti i risultati probatori e gli altri risultati della verifica dopo la comunicazione della notizia di reato, situazione, all'evidenza, priva di fondamento. Da ciò consegue, dunque, che non può dedursi la generica violazione dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen., essendo necessaria la specifica indicazione della violazione codicistica che avrebbe determinato l'inutilizzabilità con riguardo ai singoli atti compiuti e riportati nel processo verbale di constatazione redatto dalla medesima (Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, Gamba; Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016 (dep. 2017), Pelini e altro, V. anche Sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016 (dep. 2017), Lo Verde). In definitiva, costituisce onere di chi eccepisce la violazione della norma precisare quali parti dei verbali siano state redatte dopo l'insorgere degli indizi di reato e, pertanto, in spregio alle disposizioni codicistiche.