Con la sentenza n. 29583 del 26 ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha affrontato la delicata questione del sequestro nei confronti del socio di una S.n.c. che, non avendo funzioni di rappresentanza legale, risultava estraneo al reato ascritto invece all’amministratore. Mentre il tribunale del riesame ha avallato l’operato della Procura di sequestrare anche i beni del socio in quanto moglie dell’amministratore e quindi non configurabile quale terzo estraneo al reato, la Suprema Core ha chiarito che, in queste ipotesi, il sequestro è illegittimo. Si tratta infatti di un soggetto non indagato nei cui confronti non potrà mai essere eseguita una condanna e quindi una confisca cui è finalizzato il sequestro. IL FATTO Al legale rappresentante e socio di una S.n.c. veniva contestato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture (art. 2, D.Lgs. n. 74/2000) per vari periodi di imposta. In particolare, la violazione riguardava l’indicazione nella dichiarazione IVA della società di elementi passivi fittizi, con conseguente evasione di IVA in capo alla società e IRPEF in capo al socio/amministratore e all’altro socio (moglie del rappresentante legale). Il Gip, su richiesta della Procura disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta: - delle disponibilità finanziarie della S.n.c. fino a concorrenza dell'importo dell'IVA evasa e in via subordinata il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, per lo stesso importo, dei beni dell’amministratore; - del profitto delle disponibilità finanziarie dell’amministratore per un importo pari all'IRPEF da questi evasa; in via subordinata il sequestro preventivo dei beni dell'indagato finalizzato alla confisca per equivalente; - del profitto delle disponibilità finanziarie dell’altro socio (moglie dell’amministratore) per un importo pari all'IRPEF da lei ritenuta evasa nonché in via residuale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni della predetta. Nei confronti della socia, il Gip disponeva in particolare il sequestro preventivo dei beni trattandosi di soggetto che aveva tratto profitto dall'illecito tributario del legale rappresentante della società e quindi non qualificabile come terzo estraneo essendo socio illimitatamente responsabile della S.n.c. Il Tribunale rigettava le richieste di riesame avanzate dalla società e dalla socia; in particolare evidenziava che la socia non potesse essere considerata terza estranea al reato, perché moglie e socia dell'indagato. Gli interessati ricorrevano in cassazione. Nel ricorso per cassazione, in estrema sintesi, veniva lamentata l'inosservanza dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 in quanto il Tribunale del riesame aveva erroneamente escluso l'insussistenza in capo alla socia della qualifica di persona estranea al reato ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto. E infatti la socia non era indagata del reato commesso, come risultante dai capi di imputazione e dall'avviso di conclusioni delle indagini preliminari. Inoltre, il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato in capo alla socia pur essendo terza estranea al reato mentre la confisca per equivalente, avendo natura sanzionatoria, poteva essere disposta esclusivamente nei confronti dell'indagato. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. A norma dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p. per uno dei delitti tributari, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. I giudici di legittimità evidenziano, innanzitutto, che ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p. il sequestro preventivo è possibile rispetto ai beni per i quali è possibile procedere alla confisca. La confisca diretta ex art. 12-bis, D.Lgs. n. 74/2000, che ha natura di misura di sicurezza, e quella subordinata per equivalente, che ha natura di sanzione, possono essere disposte solo in caso di condanna dell'imputato o di patteggiamento. Nella specie, la socia non risultava neanche indagata, in concorso con il marito, sicché nei suoi confronti non è neanche ipotizzabile la definizione del processo con la condanna o il patteggiamento presupposto per la confisca. La Suprema Corte chiarisce poi che il riferimento alla persona estranea al reato contenuto nell'art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000, per altro con riferimento alla sola confisca diretta, non significa che la confisca diretta possa essere disposta a prescindere dalla condanna, ma che dei beni costituenti il profitto o il prezzo del reato deve sempre essere disposta la confisca a meno che essi non siano usciti dalla disponibilità dell'imputato e siano entrati nella sfera giuridica del soggetto estraneo al reato. Va da sé che se il bene è formalmente intestato a terzi, incombe sul pubblico ministero l'onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l'esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite (per tutte, sentenza n. 14605 del 24 marzo 2015). Inoltre, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva dei beni da parte dell'indagato; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all'indagato.