Nel pubblico impiego privatizzato, il precedente giudicato che ha accertato lo svolgimento di mansioni superiori non spiega i suoi effetti anche sul periodo successivo. Sarà sempre il lavoratore a dover dimostrare la perduranza dell'esercizio delle mansioni e la loro attuale rilevanza. Non vi è dunque un'inversione dell'onere della prova che ponga a carico del datore la dimostrazione del mutamento delle condizioni. Lo ha stabilito, affermando un principio di diritto, la Corte di cassazione, ordinanza n. 18901 del 15 luglio 2019, accogliendo il ricorso dell'Inps nei confronti di un proprio dipendente. Secondo la Corte di appello di Ancona invece dal momento che era già stato accertato in giudizio lo svolgimento di mansioni superiori per il periodo che va dal 1999 al 2006, spettava all'ente dimostrare che le circostanze giuridiche erano cambiate nel periodo successivo per il quale il dipendente ugualmente chiedeva il riconoscimento delle differenze retributive. La Suprema corte ricorda che lo svolgimento di mansioni superiori non può comportare l'acquisizione delle corrispondenti qualifiche ma solo il diritto alle maggiori retribuzioni per il corrispondente periodo. Ne deriva, prosegue la decisione, che lo svolgimento di mansioni superiori «non comporta la maturazione di "effetti destinati a durare tempo", né esso è fonte di una stabile modifica alla configurazione del rapporto di durata quale preesistente tra le parti». Viceversa, il lavoratore resta «pienamente onerato, per i vari periodi di tempo azionati separatamente in giudizio, della allegazione e dimostrazione del riprodursi dei fatti costitutivi del diritto alle retribuzioni superiori, senza che, da questo punto di vista, in suo favore possano operare, rispetto a periodi successivi, gli effetti giuridici di un pregresso giudicato relativo a periodi antecedenti». Dunque, «solo una volta accertati tali fatti costitutivi, purché anche il regime giuridico sia rimasto invariato, il precedente giudicato può avere effetto quanto a qualificazione giuridica dell'accaduto come esercizio di mansioni superiori». Una ipotesi, chiosa la Corte, che peraltro non può trovare applicazione nel caso di specifico, in quanto a cavallo tra i due periodi è anche cambiato il contratto collettivo, «sicchè la valutazione va effettuata sulla base della nuova contrattazione». Quanto precedentemente accertato potrà semmai costituire «mero indizio rispetto a quanto accaduto successivamente, ma nulla più e non necessariamente, soggiacendo tale elemento istruttorio al concreto atteggiarsi del libero convincimento del giudice del merito». Un ragionamento condensato dalla suprema corte nel seguente principio di diritto: «In tema del rapporto di impiego privatizzato, il diritto a ricevere le retribuzioni proprie delle mansioni superiori rispetto a quelle di formale inquadramento sorge, di tempo in tempo, in ragione del concreto esercizio di esse e non dà luogo a modificazioni definitive del rapporto sotto il profilo dell'acquisizione della corrispondente migliore qualifica, con la conseguenza che il giudicato maturato rispetto a periodi in cui è stato riconosciuto il diritto a tali retribuzioni superiori, per esservi stato esercizio delle corrispondenti mansioni, non pone a carico del datore di lavoro l'onere di allegare e dimostrare, rispetto ai periodi successivi, per i quali il lavoratore rivendichi il persistere del diritto alle differenze retributive, il verificarsi di mutamenti fattuali, spettando al lavoratore la prova in concreto di avere continuato a svolgere mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento». «Il pregresso giudicato – conclude l'ordinanza - può peraltro risultare vincolante, una volta accertato il reiterarsi dell'esercizio della medesima attività e a condizione del permanere della medesima disciplina collettiva, rispetto alla qualificazione di tale attività come inerente mansioni superiori ed alle conseguenze retributive che ne derivano; inoltre, quanto precedentemente accertato, può costituire dato istruttoria utilizzabile, ove ritenuto utile e pertinente, per l'apprezzamento giudiziale, in sé del tutto autonomo, relativo al periodo oggetto della nuova controversia».