La ricostruzione della documentazione contabile, attraverso il ricorso ad una contabilità parallela “in nero”, creata per occultare condotte distrattive e di evasione di imposta, non esclude la bancarotta fraudolenta documentale. La necessità di acquisire i dati patrimoniali e finanziari dalla contabilità in nero è, infatti, la prova che la tenuta dei libri e delle altre scritture era tale da non rendere possibile un’affidabile ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1925 del 16 gennaio 2019 respinge il ricorso dell’amministratore unico di una Srl dichiarata fallita e di una collaboratrice nelle gestione della compagine con poteri di firma, condannati per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, per aver sottratto dalle casse due milioni e 600 mila euro e falsificato libri e scritture, creando una contabilità parallela e occulta. La Cassazione nel confermare gli addebiti respinge la tesi della difesa secondo la quale il reato di bancarotta fraudolenta documentale doveva essere escluso, visto che grazie alle “spiegazioni” della collaboratrice la Guardia di finanzia era stata in grado, con un solo interrogatorio, e senza ricorre a consulenze tecniche, di ricostruire rapidamente il patrimonio e i movimenti, incrociando i dati con la contabilità ufficiale. In più, i giudici non avevano considerato che la contabilità “parallela” si era resa necessaria per le operazioni in nero relative all’acquisto di forniture. Ma la Cassazione è di diverso parere. I semplici appunti, sia manoscritti che informatici, provenienti dall’imputato, specie se destinati a restare clandestini, non possono essere considerati scritture informali di supporto, ma solo documenti clandestini utilizzabili solo da chi, all’interno del gruppo, era a conoscenza dei ricavi in nero. Quindi non sono utili, malgrado la “collaborazione” ad evitare la condanna.