Se la procedura impropria seguita dal lavoratore costituisce una prassi seguita per accelerare il processo di lavorazione e rientra in una logica di profitto aziendale, non si può escludere la responsabilità penale del datore di lavoro per l’infortunio occorso. Sono decisamente rari i casi in cui la giurisprudenza attribuisce valore esimente al comportamento errato del lavoratore e la sentenza n. 12326, depositata il 26 marzo 2024 dalla Corte di Cassazione, si pone in linea con il prevalente orientamento di rigore nei confronti del datore di lavoro, ripercorrendo i presupposti per considerare “abnorme” (e dunque “scriminante”) la condotta dell’infortunato. Nel caso in esame, in uno stabilimento per la produzione di succhi di frutta si era verificato un incidente mortale in cui un operaio era precipitato all’interno di uno dei silos, dopo essersi lui stesso reso disponibile alla riparazione di un guasto senza chiamare la ditta di manutenzione. Secondo la giurisprudenza consolidata il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro; oppure che rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (cfr. Cass. n. 7188/2018). Perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente, imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni affidategli, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere le cautele che proprio al governo del rischio di comportamento imprudente del garantito sono finalizzate. Allora, l’evento che pure si sarà verificato, potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore piuttosto che al comportamento – del tutto osservante – del (non più) garante (cfr. Cass. n. 27871/2019). Non può invece considerarsi “abnorme” la condotta del lavoratore quando è tenuta nell’espletamento, sia pure imperito, imprudente o negligente, delle mansioni assegnategli. E ciò perché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standard di piena prudenza, diligenza e perizia è ordinariamente presente, perché quello scostamento è evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Ciò non può significare l’avallo di un qualche automatismo, che porti a svuotare di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”. Piuttosto, simili precisazioni conducono ad evidenziare la necessità che vengano portate alla luce quelle circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (così Cass. n. 7955/2014).