Imprenditori sospettati di mafia: via libera alla confisca del capitale sociale e beni aziendali

In tema di misure di prevenzione personali e patrimoniali, presupposto comune dell'applicazione della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, è la pericolosità del soggetto medesimo per la sicurezza pubblica. Tale può essere considerato l'imprenditore indiziato di appartenere ad una associazione di tipo mafioso. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20571 del 13 maggio 2019. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Palermo revocava l'applicazione della misura di prevenzione personale applicata all'imputato, e confermava nel resto il decreto con il quale il Tribunale aveva disposto l'applicazione della misura patrimoniale della confisca del capitale sociale e di beni aziendali nonché di due immobili, polizze vita e saldi di conto corrente nella disponibilità del proposto. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, censurando la decisione della Corte territoriale per averlo erroneamente ritenuto socialmente pericoloso con riferimento al periodo dal maggio del 2005 al dicembre del 2008, in quanto inserito in un contesto mafioso, benché nel processo penale che l'aveva riguardato lo stesso fosse stato mandato assolto dai reati concernenti un suo coinvolgimento nella vita di quell'associazione mafiosa, per avere egli tenuto condotte 'neutre' rispetto alla operatività di tale sodalizio criminale. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Al riguardo gli Ermellini rammentano quanto puntualizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, nella quale, nel definire l'ambito di compatibilità della disciplina delle misure di prevenzione personali e patrimoniali con i principi della Carta fondamentale e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, si è chiarito che "oltre alla verifica della riconducibilità del soggetto a una delle categorie oggi elencate nell'art. 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011, presupposto comune dell'applicazione della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, è la pericolosità del soggetto medesimo per la sicurezza pubblica. A! riscontro probatorio delle sue passate attività criminose, deve dunque affiancarsi una ulteriore verifica processuale circa la sua pericolosità, in termini - cioè - di rilevante probabilità di commissione, nel futuro, di ulteriori attività criminose. Il requisito della pericolosità per la sicurezza pubblica del destinatario delle misure di prevenzione personali accomuna le stesse alle misure di sicurezza disciplinate dal codice penale, dalle quali tuttavia le prime si differenziano in quanto non presuppongono l'instaurarsi di un processo penale nei confronti del soggetto. Sufficiente e necessario a legittimare l'applicazione di una misura di prevenzione personale è, infatti, che l'attività criminosa - descritta nelle varie fattispecie elencate oggi nell'art. 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011, e il cui riscontro probatorio funge da base sulla quale sviluppare il giudizio in ordine alla pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica - risulti da evidenze che la legge indica ora come «elementi di fatto», più spesso come «indizi»; evidenze che debbono essere vagliate dal tribunale nell'ambito di un procedimento retto da regole probatorie e di giudizio diverse da quelle proprie dei procedimenti penali." In tale ottica, correttamente i giudici di merito avevano indicato in maniera analitica i numerosi e attendibili elementi informativi - desumibili dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia e dal contenuto di varie intercettazioni telefoniche e ambientali - in base ai quali era stato possibile sostenere, da un lato, che, in relazione al periodo sopra considerato, il ricorrente ben poteva essere qualificato come pericoloso perché indiziato di appartenere ad una associazione di cui all'art. 416 bis cod. pen., in quanto autore di comportamenti che, pur non integrando gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, erano funzionali agli interessi dei poteri criminali e costituirono una sorta di terreno favorevole permeato di cultura mafiosa; e, da altro lato, che gli immobili in sequestro e le quote ed i beni aziendali delle due società facenti capo al ricorrente dovevano ritenersi il frutto e il reimpiego dei proventi della contiguità del prevenuto al potere mafioso, in specie alla cosca diretta da un capo mafia appartenente al mandamento di X, che di quelle società era diventato socio occulto al 50% (società che ben potevano essere qualificate come mafiose); con la conseguenza che il patrimonio del proposto era risultato nettamente sproporzionato alle capacità reddituali e alle attività economiche dello stesso ricorrente e dei suoi familiari. Quadro indiziano, questo, rispetto al quale erano evidentemente circostanze ininfluenti sia che il ricorrente fosse stato imputato in un processo del reato di interposizione fittizia dal quale lo stesso era stato mandato assolto esclusivamente per il mancato raggiungimento della prova della provenienza illecita dei denari investiti nella sua attività imprenditoriale; sia il tenore della consulenza tecnica prodotta dalla difesa, idonea a dimostrare la formale capacità delle società di produrre i redditi esposti in bilancio, senza incidere sulla valenza dimostrativa degli elementi di fatto addotti dalla accusa a sostegno delle ragioni giustificative del provvedimento di ablazione di prevenzione.

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