Per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo, l’amministratore deve provare l’evidente vantaggio compensativo conseguito dalla singola società che è stata impoverita. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20494 depositata il 13 maggio 2019, sgombra il campo dall’equivoco che la semplice appartenenza di una società ad un gruppo renda plausibile l’esistenza dei cosiddetti benefici compensativi. E quindi spetti alla compagine che ha agito contro il suo manager l’onere di dimostrarne l’esistenza. La società che agisce in giudizio può, invece, limitarsi a dimostrare che l’amministratore ha commesso atti che mettono a rischio il patrimonio dell’ente e sembrano contrari al suo obbligo di perseguire lo specifico interesse sociale. Sarà poi l’amministratore a dover provare «gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta». Partendo dall’obbligo di uno sguardo d’insieme, la Suprema corte respinge il ricorso dell’imputato che aveva provocato fallimenti a catena delle società del gruppo del quale era al vertice. La condanna per bancarotta per distrazione era scattata in presenza di operazioni di trasferimento di beni e di denaro intraprese senza corrispettivo e malgrado lo stato di avanzata insolvenza. Fatti catalogabili come bancarotta per distrazione e non anche come infedeltà patrimoniale (art. 2634 terzo comma del Codice civile) proprio per la mancanza dei benefici compensativi. I giudici respingono la tesi dell’imputato secondo il quale era fondato prevedere che si sarebbe tratto un vantaggio generale dalla trasformazione dell’attività imprenditoriale del settore commerciale all’ingrosso e al dettaglio, in industria alberghiera. Mentre, nel caso di saldo finale negativo delle operazioni, compiute in un’ottica di interesse di gruppo, ad avviso della difesa, il fatto reato andava inquadrato appunto nell’infedeltà patrimoniale e nella bancarotta fraudolenta: punibili penalmente solo con la prova del dolo specifico e dalla consapevolezza di causare il dissesto della società. Né, come pretendeva il ricorrente, il fenomeno del gruppo di società (art. 2497 del Codice civile e seguenti) ha scalfito il principio di autonomia economica e soggettiva delle collegate. L’accertamento dello stato di insolvenza va riferito alla singola società.