DL Agosto: luci e ombre analizzate dai Consulenti del Lavoro

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenzia luci e ombre di alcune disposizioni contenute nel DL Agosto e le principali difficoltà applicative e interpretative per le aziende

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – Approfondimento 25 agosto 2020


È in vigore dal 15 agosto 2020 il decreto legge n. 104/2020 recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”, con cui il legislatore ha voluto, da una parte, arginare la perdita dei posti di lavoro a causa dell’epidemia da Covid-19 e, dall’altra, incentivare nuove assunzioni e sostenere la riqualificazione del personale.

Delle numerose misure contenute nel decreto, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro prende in esame nell’approfondimento del 25 agosto 2020 il mantenimento del divieto di licenziamento per ragioni economiche (anche se per un periodo “mobile” collocato fino al 31 dicembre), la modifica alla disciplina della Cassa integrazione e l’introduzione di una decontribuzione, fino a 4 mesi, per i datori di lavoro che non ricorrono agli ulteriori ammortizzatori sociali emergenziali e fanno ritornare al lavoro il personale.

Evidenziando luci e ombre di queste disposizioni, emergono anche le principali difficoltà applicative e interpretative per aziende e Consulenti del Lavoro.

Il divieto di licenziamento economico e la proroga del “Decreto Agosto”

L’art. 14 del D.L. n. 104/2020 ha disposto la proroga delle disposizioni in materia di licenziamento introdotte dal decreto “Cura Italia”. Una formulazione non particolarmente felice della norma ha fatto insorgere più di un dubbio sulla sua portata ed in particolare sulla durata ulteriore del divieto di licenziamento, richiedendo uno sforzo interpretativo e di coordinamento tra la disposizione originaria del divieto, questa che ne dispone la proroga e quelle richiamate per la determinazione della sua efficacia, connessa alla durata dell’ulteriore periodo di ammortizzatori sociali e di fruizione dell’esonero contributivo.

Come noto, con il discusso art. 46 del D.L. n. 18/2020, così come convertito dalla legge n. 27/2020, è stato imposto il blocco dei licenziamenti per ragioni economiche, per cinque mesi, decorrenti dall’entrata in vigore della norma. Tale divieto scadeva pertanto il 17 agosto. Il D.L. 14 agosto 2020, n. 104, all’art. 14 ha disposto la proroga della durata del divieto per i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali così come previsti dallo stesso decreto.

La norma, nel prevedere la nuova durata del divieto di licenziamento per ragioni economiche, opera un esplicito rinvio all’art. 1, che introduce il nuovo periodo di ammortizzatori sociali, per un totale di diciotto settimane da utilizzare entro il 31 dicembre 2020, e all’art. 3 dello stesso decreto Agosto, che riconosce ai datori di lavoro, che abbiano già fruito degli ammortizzatori sociali emergenziali per il periodo di maggio e giugno scorso e non richiedano la fruizione delle ulteriori “9+9 settimane”, l’esonero del versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di 4 mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020.

La nuova durata del blocco dei licenziamenti economici

Da quanto premesso deriva che l’originario termine del 17 agosto per il divieto dei licenziamenti per ragioni economiche, fisso e valido per tutti, risulta adesso sostituito, per effetto della proroga del decreto legge n. 104/2020, da una nuova scadenza mobile, determinata dalla necessità di individuare, in alternativa:

A) il momento in cui il datore di lavoro ha fruito integralmente dell’ulteriore periodo di 18 settimane di ammortizzatori sociali, con le modalità disciplinate dall’art. 1 del decreto;
B) la scadenza del periodo di fruizione dell’esonero contributivo, previsto quale alternativa alla richiesta di ammortizzatori sociali. Quest’ultimo, posta la durata massima di quattro mesi, può implicare una scadenza anche prima dello spirare del termine massimo, perché di fatto la sua fruizione è condizionata dal periodo di utilizzo degli ammortizzatori sociali nei mesi di maggio e giugno, essendo riconosciuta, come previsto dal primo comma dell’art. 3, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite in quei mesi.

Complessità applicative e difficoltà interpretative

Le novità introdotte dall’art. 14 del “decreto Agosto” impongono dunque la necessità di verificare, caso per caso, in dipendenza del periodo di fruizione di una delle due soluzioni previste dalla legge, l’individuazione del momento specifico in cui cesserà il divieto di disporre licenziamenti per ragioni economiche, che pertanto varierà da datore a datore. Una differenza notevole rispetto alla previsione originaria, che vedeva il 17 agosto quale dies ad quem valido per tutti.

In ogni caso, stando alla lettura dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020, il nuovo divieto di licenziamento per ragioni economiche non opererebbe oltre il 31 dicembre 2020, termine ultimo per la fruizione degli ammortizzatori sociali emergenziali di cui all’art. 1 e del periodo riconosciuto per il godimento alternativo dell’esonero contributivo, previsto con l’art. 3 del medesimo decreto.

Le complessità di natura applicativa risultano aggravate, però, dalla formulazione infelice della norma. Infatti, se le conclusioni appena spiegate possono apparire univoche rispetto al testo dell’art. 14, norma che ha introdotto la proroga in esame, le difficoltà insorgono con il confronto con l’art. 3 del decreto Agosto, cui si fa esplicito rinvio. Il secondo comma dell’art. 3 – in maniera poco chiara – dispone che “al datore di lavoro che abbia beneficiato dell’esonero di cui al comma 1, si applicano i divieti di cui all’articolo 14 del presente decreto”. La sintassi adottata dal legislatore potrebbe far pensare (e ha indotto alcuni a tali conclusioni) ad una sorta di definitività del divieto, una volta optato per la soluzione dell’esonero, dalla quale conseguirebbe un divieto di licenziamento sine die. Nonostante sia pure circolata tale possibilità interpretativa, ad avviso della Fondazione Studi questa deve essere recisamente respinta, non soltanto perché imporrebbe un vincolo evidentemente incostituzionale, ma anche perché non appare conforme alla previsione dell’art. 14 e all’impianto previsto dalla norma, che senza dubbio introduce tale regime di vincolatività dell’esercizio delle prerogative datoriali, subordinandolo alla durata delle misure straordinarie premesse (periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali o dell’esonero contributivo).

Al fine di fugare ogni dubbio, per i Consulenti del Lavoro non appare inutile una modifica del secondo comma dell’art. 3 del decreto legge n. 104/2020 in sede di conversione, per eliminare ogni possibilità di equivoco.

Un ulteriore momento di perplessità per la Fondazione Studi è suscitato dalla lettura del terzo comma dell’art. 3 del “decreto Agosto”, per il quale “la violazione delle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dall’esonero contributivo concesso ai sensi del comma 1 del presente decreto con efficacia retroattiva e l’impossibilità di presentare domanda di integrazione salariale ai sensi dell’articolo 1”.
Se la prima parte appare, invero, risolutiva dei dubbi premessi, scaturiti dalla formulazione del secondo comma, la seconda, disponendo – in caso di violazione del divieto di licenziamento – “l’impossibilità di presentare domanda di integrazione salariale ai sensi dell’art. 1”, pare invece riconoscere la possibilità – in caso contrario – di ricorrere agli ammortizzatori sociali anche dopo aver utilizzato l’esonero contributivo.
Quest’ultimo, pertanto, non si porrebbe quale alternativa definitiva al ricorso alla cassa integrazione: intento del legislatore che pare emergere dalla lettura complessiva della norma. Anche in questo caso si tratta di una criticità interpretativa di non poco conto, che richiede l’urgenza di una soluzione esplicita, in via amministrativa, ancor prima che in sede di conversione.

La nuova proroga degli ammortizzatori sociali Covid-19

Il decreto legge n. 104/2020 ha innovato anche l’impianto normativo in materia di ammortizzatori sociali connessi all’emergenza epidemiologica da Covid-19. A seguito delle novità introdotte dalla norma in commento, i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza sanitaria, possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove secondo modalità che verranno analizzate di seguito.

Le complessive diciotto settimane devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020 e costituiscono la durata massima che può essere richiesta con causale Covid-19. I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati, qualora siano collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020, sono imputati, ove autorizzati, ai nuovi ammortizzatori sociali ex D.L. n. 104/2020.
Tale disposizione, dunque, implica per le aziende che non siano riuscite ad utilizzare tutte le diciotto settimane previste dalla precedente normativa, la privazione delle settimane residue. È altresì evidente come i datori di lavoro, che negli scorsi mesi abbiano utilizzato virtuosamente le settimane di cassa integrazione a disposizione, risultino penalizzati dalle norme recentemente introdotte.

Tra le novità di particolare rilievo, vi è anche quella che richiede il pagamento di un contributo addizionale per le aziende che, esaurite le prime nove settimane di ammortizzatori, intendano proseguire la fruizione degli stessi per le ulteriori nove settimane concesse dal D.L. n. 104/2020.
In questo caso, come dicevamo, è previsto il versamento di un contributo addizionale, determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 con quello del 2019, in misura pari:

a) al 9% della retribuzione non erogata durante la CIG, se la riduzione del fatturato è pari o inferiore al 20%;
b) al 18% della retribuzione non erogata durante la CIG, se non c’è stata alcuna riduzione del fatturato.

Tale contributo non è, invece, dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e da coloro che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019. In merito a quest’ultima previsione, la Fondazione Studi evidenzia come il valore del contributo addizionale per cui è richiesto il pagamento sia particolarmente ingente se raffrontato a quello previsto per la disciplina ordinaria di cui al decreto legislativo n. 148/2015. Infatti, l’articolo 5 del D.Lgs. n. 148/2015 pone a carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale, sia essa di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria che Straordinaria, il pagamento di un contributo addizionale, quantificato nel:

a) 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
b) 12% oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile;
c) 15% oltre il limite di cui alla lettera b) in un quinquennio mobile.

Per ciò che concerne il FIS, peraltro, all’art. 29 del D.Lgs. n. 148/2015 è prevista una contribuzione addizionale a carico dei datori di lavoro, connessa all’utilizzo delle prestazioni, pari al 4% della retribuzione persa.
Fermo l’intento del legislatore del D.L. n.104/2020 di disincentivare, se non davvero necessario, l’utilizzo delle ulteriori nove settimane di trattamenti e rammentando le evidenti differenze che sussistono in tema di ammortizzatori sociali tra la normativa ordinaria e quella emergenziale, i Consulenti del Lavoro si domandano, dal punto di vista prettamente economico, quale percorso sia il più confacente per le aziende che dovessero trovarsi in difficoltà nei prossimi mesi.

L’approfondimento evidenzia, inoltre, che le ulteriori nove settimane di trattamenti, sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato.
Per essere ammesso alla fruizione delle ulteriori nove settimane, il datore di lavoro deve presentare all’Inps domanda di concessione del trattamento nella quale autocertifica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445, la sussistenza dell’eventuale riduzione del fatturato. L’Inps autorizza i trattamenti sulla base dell’autocertificazione allegata alla domanda e individua l’aliquota del contributo addizionale, che il datore di lavoro è tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. In mancanza di autocertificazione, si applica l’aliquota del 18%. Sono comunque disposte le necessarie verifiche relative alla sussistenza dei requisiti richiesti e autocertificati per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale, ai fini delle quali l’Inps e l’Agenzia delle Entrate sono autorizzati a scambiarsi i dati.

L’esonero dei contributi previdenziali

Tra le ulteriori novità introdotte dal D.L. n. 104/2020 la Fondazione Studi segnala che, all’art. 3 del decreto citato, vi è la previsione di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali per le aziende che non richiedono trattamenti di cassa integrazione.
In via eccezionale, al fine di fronteggiare l’emergenza da Covid-19, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che non richiedono i sopracitati trattamenti e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto legge 17 marzo 2020, n.18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e successive modificazioni, è riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero può essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ai sensi del predetto decreto legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020.

In merito a tale fattispecie, i Consulenti del Lavoro criticano la scelta del legislatore di stabilire che l’esonero sia concesso nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno 2020. Tale scelta, osservano, risulta oltremodo penalizzante per i datori di lavoro virtuosi che hanno preferito, in tali mesi, concedere primariamente ferie e permessi ai propri dipendenti in luogo dei trattamenti di integrazione salariale.
Risulta, peraltro, sfavorevole anche per le aziende che, per motivazioni legate alla loro specifica attività, in tale periodo hanno regolarmente lavorato, scontando tuttavia una fisiologica flessione nel successivo periodo estivo.

In ragione di tali valutazioni, la Fondazione Studi ritiene necessario che ai fini della concessione dell’esonero contributivo di cui all’articolo 3 siano presi in considerazione anche i periodi autorizzati antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legge n. 104/2020 e collocati nei mesi di luglio e agosto.
In caso contrario, non si comprenderebbe il tenore del comma 1, ultimo periodo, del medesimo articolo 3.

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