Con la sentenza n. 10108 del 28 maggio 2020, la Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di tassazione del reddito delle procedure di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, la norma in base alla quale l’imponibile tassabile sia quello compreso tra il periodo di apertura e il momento della chiusura della procedura, non si applica al concordato preventivo. Ciò in quanto nel concordato l’imprenditore continua ad assolvere gli obblighi tributari senza una specifica regolamentazione. Ne consegue che le ritenute in acconto operate ai sensi dell’art. 26 comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, possono essere scomputate nel periodo di imposta nel quale i redditi si sono prodotti. IL FATTO Una società, acquirente di crediti fiscali connessi a procedure concorsuali, in qualità di cessionaria del credito Irpef, derivante da ritenute di acconto su interessi attivi relativi ad alcune somme depositate in fase di concordato preventivo da altra società, chiedeva il rimborso del credito. Tale rimborso era già stato richiesto in passato dalla società cedente. Il conseguente silenzio rifiuto veniva impugnato. La CTP rigettava il ricorso e la decisione era confermata anche in appello. I giudici del gravame in particolare rilevavano che l’obbligo di operare le ritenute sugli interessi, previsto dall’art. 26, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973, in capo ai sostituti d’imposta in procedura concorsuale, fosse riferito ad un periodo più ampio di quello ordinario ed in particolare l’intero periodo complessivo della durata della procedura dall’inizio alla chiusura. Di conseguenza il recupero di tale credito a favore della contribuente era subordinato alla conclusione della procedura di concordato preventivo. Prima di tale evento non poteva ritenersi sussistente il requisito della certezza del credito ceduto. Veniva proposto ricorso per Cassazione deducendo con diversi motivi che l’art. 183 comma 2 del D.P.R. n. 917/1986, che prevede l’unicità del periodo d’imposta non fosse applicabile al concordato preventivo in quanto in tale procedura avviene il c.d. spossessamento dell’imprenditore. Inoltre veniva rilevato che in materia di concordato preventivo il reddito di impresa si determina secondo le regole ordinarie del TUIR, e dunque il credito da ritenute d’acconto (non scomputate) sugli interessi attivi può essere oggetto di rimborso. In conclusione non vi sarebbe stata alcuna incertezza in relazione a detto credito. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente cassando con rinvio la decisione impugnata. I giudici di legittimità ricordano innanzitutto che nel caso di imprese assoggettate a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa, la tassazione non opera in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo d’imposta, quali quelli risultanti dall’utile di bilanci rettificato ai sensi dell’art. 83 del Tuir, ma su quanto eventualmente residui all’esito del pagamento dei crediti concorsuali in sede di riparto finale. L’altra particolarità è la deroga apportata all’art. 183 comma 2, del Tuir, per quanto concerne il principio di tassazione per singoli periodi d’imposta costituiti dai vari periodi in ragione d’anno, essendo in tal caso il periodo oggetto di tassazione, pari all’intero periodo concorsuale. Ne consegue che con la conclusione della procedura concorsuale diviene certa la posta patrimoniale del residuo attivo idonea a determinare il reddito eventualmente prodotto durante la procedura. La Suprema Corte, poi però aggiunge che questo sistema di tassazione del reddito delle imprese dichiarate fallite e delle imprese in liquidazione coatta amministrativa, non si applica ai soggetti sottoposti a procedura di concordato preventivo: l’art. 183 del Tuir infatti è espressamente riferito alle sole ipotesi sopra indicate. Ciò per due ordini motivi: 1) nel concordato preventivo i beni dell’imprenditore insolvente o in crisi restano di sua proprietà sotto la vigilanza degli organi della procedura, nella fase del c.d. spossessamento attenuato; 2) non può ritenersi che il legislatore abbia implicitamente esteso al concordato preventivo la frattura nella successione degli esercizi di imposta, non essendoci un diverso soggetto obbligato fiscalmente in sostituzione dell’imprenditore insolvente. Secondo la Cassazione, pertanto, nel caso di concordato preventivo, non si può applicare l’art. 183 comma 1 del Tuir, ai fini della configurabilità del maxi periodo d’imposta. La società in concordato preventivo deve conseguentemente procedere alla redazione delle dichiarazioni per ciascun anno di imposta, come qualunque contribuente in bonis, potendo scomputare le eccedenze di imposta da ritenute d’acconto, in ciascun periodo d’imposta nelle quali le ritenute si siano prodotte.