Commercialista indagato per peculato: sospensione revocata senza un pericolo concreto ed attuale

Il divieto di esercizio dell'attività di commercialista - applicato per il reato di peculato - deve fondarsi su elementi di pericolo di reiterazione reali e non ipotetici, oltre che attuali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4529 del 3 febbraio 2020. IL FATTO Il Tribunale di L'Aquila applicava nei confronti di un professionista la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività inerenti l'esercizio di uffici direttivi di imprese e società commerciali ed il divieto dell'esercizio dell'attività di commercialista, sulla base della ritenuta sussistenza dei gravi indizi per i reati di peculato, già ravvisata anche dal Gip. In particolare il giudice, preso atto che il Gip aveva ravvisato i gravi indizi di reato ed escluso la sussistenza delle esigenze cautelari, aveva rivisto la valutazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari, ravvisando il concreto ed attuale pericolo di reiterazione dei reati, desunto dalla reiterazione delle condotte di distrazione per centinaia di migliaia di euro, e dalla veste professionale di commercialista e quindi dotato delle competenze tecniche necessaria a predisporre transazioni finanziarie. L'accusa a carico del ricorrente era relativa a plurime distrazioni operate attraverso bonifici a favore di altre società prive di una reale giustificazione, con la conseguente relativa appropriazione qualificata come peculato e della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale riconosciutagli per il ruolo rivestito in seno all'Ente pubblico quale direttore generale. Nel ricorso per cassazione il professionista ha censurato la decisione del Tribunale per l'assenza di motivazione in merito al ravvisato pericolo di reiterazione dei reati, argomentato sulla base della competenza professionale dell'indagato derivante dalla sua professione di commercialista, senza che fosse stata neppure data alcuna considerazione alle allegazioni difensive circa la cessazione della carica pubblica rivestita a seguito delle sue dimissioni nel mese di novembre del 2018, oltre alla assenza di altri incarichi pubblici. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. Invero, la misura interdittiva era stata applicata sul presupposto della ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati, ma sulla base di considerazioni che ne contraddicevano l'assunto posto a loro fondamento. Ad avviso degli Ermellini mancava una motivazione adeguata del pericolo di reiterazione e ciò anche a prescindere dalla sopravvenuta cessazione dell'incarico rivestito dall'imputato in seno all'Ente pubblico che il Tribunale non aveva, peraltro, tenuto in alcuna considerazione. La denuncia sporta dal presidente dell'Ente dopo la scoperta degli abusi ascritti in concorso al commercialista, in assenza di riferimenti all'attualità dei ruoli amministrativi svolti dall'imputato in seno al citato Ente, rendeva evidente l'assenza di elementi concreti indicativi di un pericolo di reiterazione. Il riferimento alla competenza professionale di commercialista quale indice soggettivo di pericolosità era del tutto errato, non potendosi fare discendere dalla mera competenza professionale il pericolo della commissione di nuovi reati, senza evidenziare l'attualità dell'inserimento del professionista in un contesto operativo criminale che desse concretezza al ravvisato pericolo, tenuto conto oltre che del suo stato di incensuratezza anche del ruolo subalterno e limitato nel tempo (dal marzo al novembre 2018) che, secondo la stessa motivazione dell'ordinanza impugnata, il predetto avrebbe avuto nei fatti contestati, rispetto ai soggetti ritenuti ideatori ed esclusivi beneficiari delle contestate distrazioni. Anche con riguardo al pericolo di reiterazione è, infatti, richiesto che deve essere non solo concreto - fondato cioè su elementi reali e non ipotetici - ma anche attuale, dopo l'introduzione di detto requisito ad opera della legge 16 aprile 2015, n. 47. Ne consegue l'accoglimento del ricorso.

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