La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21178 del 2 ottobre 2020, ha stabilito che l'Agenzia di riscossione paga anche le spese processuali quando notifica una cartella di pagamento incompleta senza fornire in giudizio la versione integrale. Pertanto, il giudice tributario può compensare i costi della causa con il contribuente solo per gravi ragioni. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Ctr di Roma ha accolto il ricorso presentato da un contribuente avverso una cartella di pagamento. In particolare, i giudici hanno osservato che «trattasi di cartella di pagamento non completa per la quale è stata chiesta l'esibizione dell'originale della cartella. Detta esibizione non è stata in sostanza esibita per cui nei confronti dell'appellante non è stata prodotta in giudizio la documentazione a sostegno. L'Agenzia di riscossione non ha in sostanza mai allegato la cartella completa, per cui le eccezioni e le deduzioni sollevate dall'appellante sono fondate e devono essere accolte. Il Collegio ritiene di compensare le spese di giudizio tra le parti, tenuto conto della materia del contendere e delle rispettive tesi difensive». Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, limitatamente al capo afferente le spese di lite, ritenendo la sentenza apodittica e generica e pertanto manifestamente apparente. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. In particolare, gli Ermellini hanno già avuto modo di precisare che in tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della concreta controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente il mero riferimento alla "natura processuale della pronuncia", motivazione generica che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento (Cass. 11 luglio 2014, n. 16037; Cass. 14 marzo 2019 n. 7352). Ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell'eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'alt. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. 18 febbraio 2019, n. 4696; Cass. 7 novembre 2019, n. 28658). Nel processo tributario le "gravi ed eccezionali ragioni" indicate esplicitamente dal giudice nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, ai sensi dell'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (in applicazione di tale principio, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata che aveva fondato la compensazione delle spese sulla asserita situazione di difficoltà della contribuente nella conoscenza effettiva dell'atto impositivo, in quanto notificato nelle forme di cui all'art. 140 c.p.c.: Cass. 25 gennaio 2019, n. 2206; Cass. 7 novembre 2019, n. 28658). Nel caso di specie - chiosano i giudici - è stata fornita una motivazione vuota e meramente apodittica («il Collegio ritiene di compensare le spese di giudizio tra le parti, tenuto conto della materia del contendere e delle rispettive tesi difensive»). Ne consegue l'accoglimento del ricorso.