Nell’ambito dell’accertamento reddituale l’articolo 32 del Dpr 600/1973, contenendo l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in merito agli accertamenti bancari, attribuisce all’Ufficio una mera facoltà, il cui mancato esercizio non determina l’illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, né comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in presunzione semplice con possibilità per il Giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza e con il conseguente onere per l’Ufficio, di fornire ulteriori elementi di riscontro. Tutto ciò in quanto, considerato il tenore letterale della disposizione e la discrezionalità espressamente prevista, non può ritenersi obbligatoria la convocazione del contribuente in sede amministrativa prima dell’accertamento, né può sostenersi che siffatta discrezionalità violi il diritto di difesa, potendo l’Ufficio procedere al ritiro eventuale del provvedimento, nell’esercizio del potere di autotutela, in caso di osservazioni e/o giustificazioni proposte dall’interessato. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 5777 del 2 febbraio 2019. La decisione, tuttavia, non convince in quanto il comma 1, n. 2 dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 sancisce che, i dati afferenti ai rapporti con gli intermediari finanziari vengono «posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine». La medesima norma stabilisce inoltre che «alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni», volendo significare che se un imprenditore effettua dei prelievi e non è in grado di indicare il beneficiario, si può ritenere che abbia acquistato in nero per rivendere nella medesima modalità. In merito ai prelievi, vengono fissati dalla legge n. 225/2016 specifici limiti quantitativi, prevedendo che solamente quelli superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili possono eventualmente essere considerati ricavi non dichiarati. Tale previsione deve essere considerata al di là del suo tenore letterale in quanto risulta confermativa della tesi secondo la quale, le norme riportate in materia di indagini finanziarie, altro non sono che disposizione concernenti l’attività istruttoria e non quella di accertamento. In merito ai prelievi, la disciplina “chiede” al contribuente di indicare il beneficiario, ma questo non può risultare il correlato fatto presunto, in quanto quest’ultimo è rappresentato dall’eventuale ricavo non dichiarato; se si trattasse di presunzione legale (come sostenuto dalla Suprema Corte) la prova contraria che il contribuente verrebbe chiamato a fornire dovrebbe fondarsi esclusivamente sul fatto presunto. La disciplina sostiene, inoltre, che le operazioni vengono “poste a base” delle rettifiche e ciò rappresenta la volontà di evitare la trasformazione degli elementi raccolti nell’attività istruttoria in prove automatiche di evasione in quanto, il “porre a base”, rappresenta certamente una locuzione molto lontana dalle espressioni utilizzate ordinariamente per distinguere le presunzioni legali. Infine, le disposizioni sulle presunzioni di evasione devono essere contenute esclusivamente in norme disciplinanti l’attività di accertamento, mentre l’articolo 32 del Dpr 600/1973 è una disciplina che regola l’attività istruttoria e, di conseguenza, l’acquisizione dei dati e delle informazioni propedeutiche a una eventuale rettifica.