Il termine del 10 giugno per la sospensione del processo oggetto di definizione agevolata era perentorio con la conseguenza che il deposito oltre tale data, non consente di sospendere il giudizio. A fornire questo principio è la Corte di Cassazione (ordinanza n. 28493 del 6 novembre 2019). IL FATTO La vicenda riguarda un ricorso contro un avviso di accertamento annullato in primo grado e confermato in appello. Il contribuente impugnava così la decisione della Ctr in Cassazione. Nelle more della fissazione dell’udienza, l’interessato, avendo definito la lite attraverso la “pace fiscale”, anticipava via posta l’istanza di sospensione (articolo 6 Dl 119/2018) ricevuta l’11 giugno 2019 e acquisita il 20 giugno 2019. Si ricorda, che l’articolo 6, al comma 10, prevedeva che le controversie definibili non erano sospese, salvo che il contribuente facesse apposita richiesta, nel qual caso il processo era sospeso fino al 10 giugno 2019. Era poi previsto che «se entro tale data il contribuente deposita(va) presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende(va) la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta(va) sospeso fino al 31 dicembre 2020». LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità, rigettando la richiesta di sospensione, hanno rilevato che il termine era perentorio con la conseguenza che il deposito oltre tale data non sospendeva il giudizio. Secondo la Cassazione, poiché la norma fa esplicitamente riferimento alla sola data di deposito in cancelleria della domanda di definizione e del versamento, è irrilevante che l’invio per posta sia avvenuto precedentemente. Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che se la parte sceglie una forma di trasmissione di atti e di documenti via posta, deve sopportare anche i rischi e i tempi incerti. Nella specie, quindi, faceva fede il timbro della cancelleria centrale dell’11 giugno con la conseguenza che la richiesta era tardiva. La sentenza non fornisce alcuna indicazione in merito alla validità della definizione della lite. Si ritiene tuttavia, che l’Ufficio entro i termini di legge si dovrà comunque pronunciare a riguardo, sperando che la decisione della Cassazione non pregiudichi il buon fine della pace fiscale. Vi è poi da osservare che il rigetto della sospensione di per sé dovrebbe comportare solo la prosecuzione del giudizio e pertanto, come accaduto nella specie, i giudici decidono sulla controversia. Tuttavia, poiché il contribuente aveva già presentato l’istanza di definizione della lite in data antecedente alla decisione (sia alla discussione sia al deposito della sentenza), gli effetti della pace fiscale dovrebbero prevalere sull’esito del giudizio. Ne consegue così che se l’Agenzia confermerà la validità della definizione, le previsioni della pronuncia (che ha confermato la fondatezza dell’accertamento e la debenza delle somme) dovrebbe essere ininfluente e ciò anche con riferimento all’addebito delle spese di lite. Diverso se l’Ufficio negherà il perfezionamento della controversia: la norma, infatti, prevede che il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende il giudizio. Ma poiché è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte senza rinvio, l’eventuale impugnazione può essere finalizzata solo a rilevare illegittimità del diniego espresso sulla definizione agevolata, ma non potrà proseguire il giudizio presupposto. Potrebbe anche interessarti: Definizione agevolata: il termine del 10 giugno per sospendere il processo non è perentorio