L'elenco clienti e fornitori presente nell’anagrafe tributaria da cui risultano acquisti e vendite dell’imprenditore non è sufficiente per dimostrare l’evasione di imposta nel reato di omessa dichiarazione. Occorrono prove a sostegno del superamento della soglia. Ad affermare questo principio è la Corte di cassazione, con la sentenza n. 3163 del 27 gennaio 2020. IL FATTO Un imprenditore veniva condannato per avere indicato nella dichiarazione dei redditi presentata per l'anno di imposta 2007 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale, in tal modo evadendo le imposte per un valore superiore alla soglia di punibilità, e quanto alla ulteriore imputazione, per avere egli omesso quanto all'anno di imposta 2009, la dichiarazione dei redditi evadendo le imposte per un importo superiore ad euro 77.500. La Corte d'Appello ha rilevato che la imputazione di cui alla violazione dell'art. 4 del dlgs n. 74 del 2000 non aveva più rilevanza penale essendo l'ammontare della imposta evasa inferiore alla nuova soglia di punibilità, ha tuttavia, confermato quanto alla restante imputazione la penale responsabilità dell'imprenditore ed ha, infine, ridotto la pena irrogata a suo carico, portandola da anni 1 e mesi 10 di reclusione ad anni 1 e mesi 6 di reclusione. Nel ricorso per cassazione, l'imprenditore ha osservato che la Corte di merito non aveva risposto al motivo di gravame avente ad oggetto il criterio di quantificazione della imposta evasa, atteso che questa era stata determinata solo con il raffronto delle fatture emesse nei rapporti che lo stesso aveva avuto con i suoi clienti e con i suoi fornitori, senza che fosse stata considerata la incidenza di operazioni passive compiute nei confronti di soggetti non definibili quali fornitori in senso stretto o comunque in legittima assenza di emissione di fattura da parte di costoro. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. Osserva il Collegio che la Corte territoriale, preso atto della circostanza, la cui verifica sarebbe stata il frutto di un non meglio precisato "controllo incrociato" fra dati contabili il cui contenuto e la cui fonte non era stata descritta in sede di merito, aveva affermato che il ricorrente, quale titolare di ditta individuale, avesse omesso di presentare la annuale dichiarazione dei redditi, in tal modo evadendo imposte per un ammontare pari ad euro 142.027,00. La dimostrazione della sussistenza di tali elementi, in particolare quello relativo all'ammontare della imposta evasa, il quale costituisce in ipotesi un fattore determinante ai fini della rilevanza penale del fatto contestato, atteso che la disposizione che si assume essere stata violata, cioè l'art. 5, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000, prevede, ai fini della punibilità della condotta omissiva un'evasione di imposta per un importo non inferiore a 50.000,00 euro, risulta essere priva di una effettiva motivazione, non essendo ad avviso della Suprema Corte assolutamente comprensibile quale sia la reale portata dimostrativa della espressione "controllo incrociato" utilizzata dal giudicante al fini di indicare la fonte probatoria della contestata evasione fiscale.