Quando è impossibile stabilire il momento di innesco irreversibile del mesotelioma - ed essendo irrilevante ogni esposizione successiva all’asbesto - ai fini del riconoscimento della responsabilità dell’imputato è necessaria l’integrale o quasi integrale sovrapposizione temporale tra la durata dell’attività della singola vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dall’imputato nei confronti della stessa. La Corte di Cassazione (sentenza n. 12151 del 15 aprile 2020) torna a ribadire la caratteristica del nesso eziologico in tema di responsabilità colposa per le morti provocate dall’amianto sui posti di lavoro. La Corte, ribadendo il principio di legittimità anche recentemente riaffermato (Quarta sezione, 25532/19), esclude ogni valenza della teoria cosiddetta dell’effetto acceleratore - secondo cui l’esposizione successiva alla dose-killer da cui origina l’infezione contribuisce ad avvicinare l’esito infausto - e riconduce il collegamento causale a un giudizio sostanzialmente individuale, in quanto verificato in relazione alla singola vicenda. Nel caso specifico però la Quarta ha respinto il ricorso dei due imputati contro la condanna per omicidio colposo aggravato, ma solo perché la posizione di garanzia da loro rivestita - non modificata dai pur ripetuti cambi di ragione sociale e/o di forma societaria - di fatto coincideva con l’intero periodo del rapporto di lavoro della dipendente deceduta per mesotelioma. I fatti ripercorsi dai giudici di legittimità erano avvenuti nei primi anni ’80 nel reparto di decoibentazione di un’azienda che lavorava per conto delle ferrovie. La dipendente, stando alle risultanze di causa, aveva respirato per un lungo periodo ingenti dosi di polveri di amianto che, a quell’epoca, non venivano neppure aspirate dai luoghi di lavorazione e infestavano ubiquitariamente tutti gli ambienti aziendali.