Via libera al rimborso IVA su ristrutturazione bene di terzi

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13162/2024, sono intervenute in merito all’interpretazione dell’art. 30, comma 3, lettera c), D.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui consente al contribuente di chiedere il rimborso dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale, se di importo superiore a 2.582,28 euro, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili. L’aspetto controverso è relativo alla possibilità di estendere il diritto di rimborso alle spese sostenute in relazione a beni di proprietà altrui e, naturalmente, l’esito della pronuncia, nel prosieguo descritto, è applicabile anche al rimborso dell’IVA infrannuale, posto che l’art. 38-bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 consente al contribuente di ottenere il rimborso in relazione a periodi inferiori all’anno quando effettua acquisti ed importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’IVA. Oggetto della controversia La società contribuente ha assolto l’IVA relativa ad opere di ristrutturazione riguardanti edifici ed impianti strumentali alla propria attività d’impresa, ma che insistono su un terreno non di sua proprietà, ma detenuto in forza di un contratto di locazione con un soggetto terzo. L’Ufficio ha ritenuto che, nella situazione in esame, non trovi applicazione l’art. 30, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972, il quale prevede che il diritto al rimborso dell’IVA spetti soltanto qualora si riferisca all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, dovendosi qualificare come tali, ai sensi degli articoli 102 e 103 del TUIR, quelli non solo strumentali all’attività dell’impresa, ma anche dei quali il contribuente abbia il possesso in virtù del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento. Detrazione IVA per le spese relative a beni altrui Anzitutto, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 11533/2018, deve riconoscersi il diritto alla detrazione dell’IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale. Peraltro, secondo i giudici di legittimità ed in coerenza con la posizione della giurisprudenza comunitaria, la detrazione è ammessa anche se l’attività d’impresa o professionale è potenziale o prospettica e, in particolare, anche quando - per cause estranee al contribuente - la predetta attività non abbia potuto concretamente esercitarsi. La detraibilità dell’IVA relativa alle spese sostenute in relazione a beni di proprietà altrui è confermata dalla prassi amministrativa, per la quale non è di ostacolo al riconoscimento del diritto alla detrazione la circostanza che il costo sostenuto abbia ad oggetto un bene immobile di proprietà di un terzo, peraltro anche se non ordinariamente utilizzato nell’esercizio dell’impresa (risposta a interpello n. 219 del 2021). Rimborso IVA per le spese relative a beni altrui Sul diritto di rimborso dell’IVA per le spese relative a beni ammortizzabili di proprietà altrui, invece, le indicazioni della prassi amministrativa e della giurisprudenza sono divergenti e, inoltre, anche l’orientamento della giurisprudenza non è univoco. Una parte della giurisprudenza propende per l’equivalenza dei presupposti dei due diritti in oggetto (detrazione e rimborso), con l’unica condizione della strumentalità dei beni interessati. Di contro, l’indirizzo giurisprudenziale, adesivo a quello della prassi amministrativa (si veda, per esempio, la risoluzione n. 179/E del 2005), che restringe la portata applicativa della previsione di cui all’art. 30, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972 si basa essenzialmente sulle espressioni “acquisto” e “ammortizzabili”, negando che sia rimborsabile l’IVA assolta in relazione a beni non acquistati, vale a dire dei quali il soggetto passivo non abbia acquisito la proprietà o altro diritto reale e che, per tale ragione, non rientrano tra i beni ammortizzabili, ancorché si tratti di beni strumentali all’esercizio dell’impresa. Tale orientamento enuclea il concetto di “bene ammortizzabile” dagli articoli 102 e 103 del TUIR e dall’art. 2424, lettera b) I e II, c.c., come bene iscrivibile tra le “immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili OIC n. 16 e OIC n. 24 sono riferibili a costi aventi utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera strumentalità del bene. La sentenza delle Sezioni Unite Il conflitto interpretativo di cui sopra è stato composto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 13162/2024 hanno affermato che, all’espressione “acquisto [...] di beni ammortizzabili”, utilizzata dal legislatore nazionale, va attribuito il significato di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria strumentalità dei beni stessi all’esercizio dell’impresa, che comunque è presupposto generale della detraibilità dell’IVA ex art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. Nella pronuncia si afferma, inoltre, che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (articoli 102 e 103 del TUIR) e neppure risultano dirimenti le disposizioni in materia di bilancio contenute nel Codice civile, ovvero i principi contabili. Piuttosto, bisogna fare riferimento alla nozione - ampia e sostanzialmente economica - di “beni di investimento”, utilizzata nella direttiva n. 2006/112/CE (articoli 174, comma 2, lettera a, e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lettera a, e 190), che, quindi, risulta essere l’unico parametro che consente di pervenire ad un’interpretazione della normativa interna in conformità a quella comunitaria. Ne consegue, secondo le Sezioni Unite, che l’applicazione dell’art. 30, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui prevede il rimborso annuale dell’IVA limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, deve essere necessariamente estesa ai beni che, pur non essendo ammortizzabili per l’operatore, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo. Considerazioni finali La pronuncia in commento, oltre a richiedere la rivisitazione delle indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria in merito al divieto di rimborso dell’IVA per le spese relative a beni di proprietà altrui, esige, più in generale, che la prassi amministrativa superi ufficialmente le istruzioni che enucleano il concetto di bene ammortizzabile dagli articoli 102 e 103 del TUIR. Per esempio, ai fini del calcolo del pro rata di detrazione, l’art. 19 bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 esclude le cessioni di beni ammortizzabili. Ebbene, la risposta a interpello n. 165 del 2020 precisa che, per l’individuazione dei beni ammortizzabili ai fini di tale disposizione, in assenza di una definizione nell’ambito della normativa IVA, si deve avere riguardo ai criteri per essi disposti ai fini delle imposte dirette. Nello stesso si pone la risposta a interpello n. 413 del 2023, specificando che, per il calcolo della percentuale di detrazione, debba farsi riferimento alla definizione di “beni ammortizzabile” rilevante ai fini delle imposte dirette, con la conseguenza che non concorrono alla formazione del pro rata le cessioni di fabbricati qualificati come beni fiscalmente ammortizzabili ai fini delle imposte dirette, vale a dire diversi da quelli c.d. “merce” di cui all’art. 92 del TUIR e da quelli c.d. “patrimoniali” di cui all’art. 90 del TUIR.

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