L’utile decisamente esiguo legittima la contestazione dell’antieconomicità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31814 del 5 dicembre 2019, ha precisato che per la contestazione dell’antieconomicità non è necessario che l’impresa presenti una situazione di perdita, essendo sufficiente la registrazione di un utile decisamente esiguo, soprattutto se rapportato agli investimenti sostenuti. In sintesi, si rientrerà in tale situazione ogni volta che risulti sconveniente il rischio d’impresa sopportato. IL FATTO Ad una Srl veniva notificato un avviso di accertamento con il quale si contestavano maggiori redditi, basati fondamentalmente sull’antieconomicità della gestione. In particolare, l’Ufficio rilevava come la società, che svolgeva attività di ferramenta, dichiarava non solo un reddito d’impresa poco rilevante (circa 10.000 euro) in senso assoluto, ma a maggior ragione se rapportato all’ingente capitale impiegato (erano contabilizzati costi per quasi un milione di euro, peraltro a fronte di ricavi per circa 800.000 euro); peraltro risultava altresì un’incongruenza con le risultanze degli studi di settore. La contribuente impugnava l’atto che veniva annullato dalla Ctp. La Ctr riteneva invece corretta la tesi erariale, basando il proprio convincimento sul fatto che il reddito dichiarato fosse assolutamente esiguo, oltre che registrato per i medesimi importi anche per gli anni precedenti e successivi. Inoltre, i costi dichiarati risultavano superiori ai ricavi e la contribuente aveva altresì continuato ad assumere personale ogni anno: tali elementi costituivano gravi indizi presuntivi di inattendibilità delle risultanze contabili della società. Quest’ultima proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando sostanzialmente che non era mai andata in perdita e che per il tipo di attività svolta, la zona di lavoro e la vita breve dell’impresa dovevano essere considerate in quanto escludevano la contestata condotta antieconomica. Inoltre, veniva eccepito l’omesso contraddittorio preventivo necessario a seguito di accertamento da studi di settore. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, confermando la correttezza dell’operato dell’Ufficio e delle conclusioni della Ctr. La gestione di un’impresa non può essere qualificata antieconomica esclusivamente quando si registrino delle perdite, ma anche quando il bilancio si chiuda con un utile talmente esiguo, a fronte degli ingenti investimenti sostenuti, da far ritenere senza dubbio sconveniente il rischio d’impresa sopportato in considerazione del risultato ottenuto. I dati evidenziati dalla Ctr e che l’avevano condotta alla decisione impugnata sono stati dunque ritenuti sintomatici dell’antieconomicità: costi superiori ai ricavi, nuove assunzioni di dipendenti ed investimenti di quell’entità si ponevano in netto contrasto con l’irrisorio reddito d’impresa dichiarato. Quanto al lamentato omesso contraddittorio preventivo (art. 10, co. 3bis L. 146/1998), la Suprema Corte ha ribadito che lo stesso costituisce un obbligo per l’Amministrazione solo quando l’accertamento sia basato sullo studio di settore, cioè quando trovi in quest’ultimo il suo fondamento prevalente. Nella specie la contestazione dell’Ufficio si basava invece fondamentalmente sull’antieconomicità: da qui l’infondatezza della doglianza della contribuente.

L’utile decisamente esiguo legittima la contestazione dell’antieconomicità

L'antieconomicità della gestione di un'impresa c'è non solo quando conclude l'esercizio annuale in perdita ma anche quando l'utile è troppo esiguo rispetto agli investimenti

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