I rimborsi che le aziende garantiscono per gli spostamenti di lavoro dei propri dipendenti sono sottoposti a una disciplina differenziata, suscettibile di ricomprendere ipotesi in cui gli indennizzi concorrono alla formazione del reddito e altre in cui sono previste diverse forme di esenzione. Pur a fronte del principio di omnicomprensività che caratterizza il reddito di lavoro dipendente, il comma 5 dell’art. 51 del TUIR stabilisce alcuni regimi di favore rispetto alle indennità corrisposte ai lavoratori che svolgono la propria attività fuori dalla sede di servizio. Al riguardo, occorre innanzitutto tenere separate le trasferte con assegnazione ad uso promiscuo di una autovettura aziendale da quelle effettuate con l’utilizzo di un mezzo proprio. Nel primo caso si versa nella categoria dei fringe benefit, mentre nel secondo si parla di rimborsi chilometrici. Soffermandosi su questi ultimi, un ulteriore discrimine è dato dallo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno o all’esterno del territorio comunale. Rimborsi chilometrici, trasferte fuori e dentro il territorio comunale In generale, l’art, 51, comma 5, del TUIR considera non imponibili gli indennizzi per le spese documentate relative a trasferte e missioni al di fuori del territorio del comune; se debitamente certificate, ai fini dell’esclusione dall’imponibile, non occorre l’autorizzazione del datore di lavoro risultante da atto scritto. In sostanza, la restituzione in esame non costituisce una forma di retribuzione o un trattamento economico aggiuntivo. L’Amministrazione finanziaria, nella risposta n. 22 del 2018, ha precisato che ai fini della documentazione giustificativa dell’effettività delle spese non è necessaria l’intestazione al soggetto in missione, si richiede unicamente che le stesse risultino effettuate nei luoghi e nei tempi previsti per il viaggio e che siano attestate dal dipendente con nota riepilogativa; è inoltre possibile effettuare il pagamento dei servizi di trasporto con carte di credito/debito/prepagate collegate direttamente sul conto corrente della società e conservare i documenti in formato elettronico. Il testo unico delle imposte sui redditi prevede tre sistemi di rimborso della trasferta: forfettario, analitico e misto, ognuno con soglie diverse di esenzione e un diverso modo di considerare, in ordine alla loro imponibilità, le varie voci di costo sostenute. La qualificazione della trasferta prende a riferimento la collocazione della sede abituale di lavoro (il luogo in cui il lavoratore è tenuto a svolgere regolarmente le proprie mansioni); è questa che fa testo, anche quando lo spostamento del lavoratore parte dalla propria abitazione, eventualità che, ai fini fiscali, è appositamente disciplinata e che comporta, come si vedrà di seguito, una diversa considerazione del rimborso. L’importo del rimborso chilometrico è variabile e dipende da un meccanismo che tiene conto della tipologia del mezzo, della distanza percorsa e dei coefficienti indicati nella tabella ACI. Diverso regime è stabilito, dall’ultimo periodo del predetto comma 5 dell’art. 51, rispetto alle spese per trasferte interne al territorio del comune, in questo caso il TUIR considera le relative indennità una forma di retribuzione addizionale; fanno eccezione i rimborsi per gli spostamenti tramite vettore, ma solo nel caso di apposita documentazione comprovante il viaggio e i costi sostenuti. Dunque, escluse le spese comprovate dal vettore, le indennità ed i rimborsi di altre spese di viaggio sono da considerarsi imponibili. Stesso trattamento è previsto per eventuali iniziative aziendali volte a compensare il tragitto casa-lavoro. Il motivo di questa diversa impostazione consiste nell’impedire che le indennità per spostamenti di poco conto, non comprovate dal vettore, vadano a sostituire parzialmente la retribuzione ordinaria. Le registrazioni infedeli dei rimborsi nel libro unico dei lavoratori aventi fini elusivi, consistenti nel qualificare come indennità di trasferta emolumenti di altri tipo, sono sottoposte alla sanzione prevista dall’art. 39, comma 7, del D.L n. 112/2008 (si veda MLPS nota n. 11885 del 14/06/2016); in aggiunta alla sanzione amministrativa le somme corrisposte sono sottoposte a recupero contributivo e fiscale. Computo del rimborso chilometrico Per effettuare il calcolo dell’ammontare di rimborso chilometrico da corrispondere al lavoratore, le tabelle ACI prevedono due tipologie di costi di percorrenza: - proporzionali, ovvero correlati al grado di utilizzo del veicolo (es. carburante, pneumatici, manutenzione, ecc.); - non proporzionali, ovvero svincolati dal grado di utilizzo del veicolo (es. assicurazione R.C.A., tassa automobilistica, ecc.). Ai fini della determinazione del costo chilometrico l’azienda ha due possibilità: - riconoscere solo la parte di costi proporzionali; in questo caso il rimborso è interamente deducibile ai sensi dell’art. 95, comma 3 del TUIR se l’autovettura rientra nella categoria dei 17 cavalli fiscali, se benzina, o 20 cavalli fiscali, se diesel; - riconoscere i costi proporzionali e una parte di quelli non proporzionali; in questa seconda ipotesi, i costi non proporzionali dovranno essere computati sulla base di criteri oggettivi che tengano conto sia dell’utilizzo personale dell’autovettura, sia di quello lavorativo. Alcuni casi particolari Merita di essere approfondita una particolare ipotesi relativa ai rimborsi chilometrici extra-comunali, nel caso in cui il lavoratore raggiunga il luogo della missione partendo da casa propria, la restituzione, a seconda dei casi, non è totalmente esente. Come specificato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 92/E/2015, se l’importo restituito dall’azienda, calcolato in base alle tabelle ACI, supera quello astrattamente individuato prendendo a riferimento la sede di lavoro, la parte eccedente concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. L’esenzione, viceversa, è completa quando il tragitto da casa alla destinazione risulta inferiore, comportando, dunque, una minore spesa da rimborsare. Altra situazione degna di nota è quella in cui il lavoratore, per effettuare la sua trasferta, si avvale di servizi di car-sharing, sul punto l’Amministrazione finanziaria, nella risoluzione n. 83/E/2016, ha ritenuto di equiparare l’eventualità in questione all’ipotesi di spostamento tramite vettore e ha optato per considerare non imponibili i relativi importi rimborsati, anche a fronte di viaggi interni al comune. La fattura emessa a seguito dell’utilizzo di un’auto in condivisione ha lo stesso valore di prova proprio del documento rilasciato dal conducente di taxi. E’ ragionevole supporre che lo stesso valga anche per gli altri servizi in condivisione, come ad esempio quelli di bike-sharing o di noleggio di monopattini elettrici (per i tragitti di lavoro brevi), anche perché, come fa notare la stessa Agenzia rispetto al car-sharing, si è di fronte a un’evoluzione del trasporto urbano rispetto ai servizi di mobilità tradizionali considerati nel predetto comma 5 dell’art. 51 del TUIR. Trasferte e rimborsi chilometrici: deducibilità per il datore di lavoro Sotto il profilo degli adempimenti formali spettanti al datore di lavoro, la documentazione interna relativa alle indennità deve tenere nota dei chilometri percorsi, del veicolo utilizzato e della somma rimborsata sulla base delle tabelle ACI; fermi tali dati, allo stesso, è lasciata piena libertà in ordine alle modalità di registrazione. L’art. 95 del Tuir, al comma 3, pone la disciplina fiscale, dal lato del datore di lavoro, dei rimborsi chilometrici di missioni esterne al comune; sul punto è prevista la deducibilità del costo di percorrenza, e in caso di noleggio, delle tariffe relative ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, ovvero 20 se con motore diesel. Le spese di vitto e alloggio sostenute in favore dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori, sempre rispetto alle trasferte al di fuori del territorio comunale, possono essere dedotte dal datore di lavoro fino ad un limite giornaliero di 180,76 euro (elevato a 258,23 per l’estero). Ai sensi dell’art. 19 del D.p.r. n. 633/1972, l’impresa committente può detrarre anche l’IVA relativa ai costi di trasferta, ma a patto che siano inerenti allo svolgimento dell’attività e documentati da apposita fattura intestata all’azienda, con l’indicazione, anche in un documento a parte, dei dati del lavoratore in missione.