Il welfare aziendale è in forte espansione tra le società italiane che vedono in tale istituto uno strumento per intercettare esigenze socio-assistenziali della propria forza lavoro. D’altra parte, l’evoluzione dei rapporti di lavoro e, più in generale, delle modalità stesse con cui le prestazioni vengono svolte, genera l’esigenza di avere lavoratori sempre aggiornati e formati per evitare che gli stessi possano essere inadeguati ai nuovi mercati del lavoro sia interni che esterni all’azienda. Il recente interpello n. 273/2019, dell’Agenzia delle Entrate, si occupa proprio della “combinazione” tra welfare aziendale e formazione accogliendo delle conclusioni estremamente interessanti e che dovrebbero consentire un ulteriore slancio delle iniziative datoriali nei confronti dei dipendenti. Leggi anche Le utilità non generano reddito imponibile se a disposizione della generalità dei dipendenti Casistica oggetto di interpello La società istante rappresenta all’Agenzia delle Entrate l’intenzione di strutturare, mediante un contratto integrativo aziendale, un piano di welfare aziendale anche finalizzato ad investire sulla “occupabilità” presente e futura dei dipendenti. Le parti, in particolare, vorrebbero mettere a disposizione di tutti i dipendenti rientranti in uno specifico gruppo individuato sulla base di criteri oggettivi funzionali, un percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale (chiamato “percorso occupabilità”) volto a migliorare la quantità e la qualità delle competenze, conoscenze e capacità, al fine di potenziare l'occupabilità futura di ciascuno, sia in termini di percorso di carriera all’interno della società che in previsione di eventuali futuri diversi impieghi professionali. Detta categoria sarebbe costituita dai dipendenti individuati secondo criteri oggettivi e che sono considerabili a maggior rischio di non impiegabilità nonché in situazione di maggior fragilità sociale, sulla base di un sistema di pesatura che assegnerebbe, ad una serie di condizioni oggettive funzionali predeterminate, un punteggio crescente in funzione del rischio di scarsa impiegabilità e fragilità sociale, conseguente alla sussistenza della condizione stessa in capo al singolo individuo. I costi connessi alla messa a disposizione del percorso occupabilità saranno totalmente a carico dell’istante e lo stesso sarà attuato attraverso formazione in aula, on-line e tramite workshop. Inoltre, i lavoratori che rientreranno nel predetto percorso avranno a disposizione un credito welfare da poter spendere in opere, beni e servizi aventi finalità socio-assistenziale e, con maggior dettaglio: a) buoni acquisto; b) contribuzione aggiuntiva alla previdenza complementare; c) acquisto di pacchetti sanitari integrativi; d) rimborso spese sostenute per i familiari in età prescolare; e) rimborso spese scolastiche per i familiari; f) rimborso spese sostenute per l'assistenza di familiari anziani e/o non autosufficienti; g) servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, di assistenza sociale e sanitaria; h) Rimborso spese sostenute per abbonamenti al trasporto pubblico. Definizione di categoria di dipendenti La prima tematica che ha formato oggetto di analisi da parte dell’Amministrazione faceva riferimento alla possibilità di classificare i dipendenti selezionati per il percorso occupabilità come facenti parte di una categoria e, quindi, potenziali destinatari dei benefici previsti da alcune norme di esenzione dell’art. 51, comma 2 del TUIR. Sul punto, in modo condivisibile, l’Agenzia fornisce risposta affermativa. D’altra parte, la prassi storicamente ha sempre interpretato il concetto di categoria in modo elastico andando anche oltre, quindi, le ordinarie categorie legali (operai, impiegati, quadri e dirigenti). Ad esempio, sono stati considerati una categoria i lavoratori espatriati e i dipendenti che scelgono di convertire il premio di rendimento in servizi welfare. Più in generale, l’Amministrazione utilizza una definizione in negativo, volendo solo evitare che la creazione di una categoria possa surrettiziamente celare una erogazione ad personam. Regime fiscale delle spese di formazione Sicuramente più interessante è l’ulteriore passaggio dell’interpello dedicato al regime fiscale applicabile alle spese sostenute dal datore di lavoro per il percorso formativo. L’Amministrazione si interroga sulla possibilità di applicare l’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR secondo il quale non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “l'utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 100…”, ovvero di educazione, istruzione ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Si ricorda che l’ambito di operatività di tale disposizione è subordinato, tra l’altro, al ricorrere delle seguenti condizioni: - le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti; - le opere e servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro; - le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale o culto. Le prime due condizioni sono soddisfatte (si veda supra per quanto attiene al concetto di categoria). Per quanto concerne le finalità da perseguire, l’Agenzia delle Entrare ricorda che la disposizione in argomento presenta una formulazione piuttosto ampia, tale da ricomprendere, per quanto interessa in questa sede, tutte le prestazioni comunque riconducibili alle finalità educative e di istruzione, indipendentemente dalla tipologia di struttura (di natura pubblica o privata) che li eroga e a prescindere dalla sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 15 del TUIR per poter fruire della detrazione delle spese di istruzione. Ciò rappresentato, secondo l’interpello in commento, “il Percorso occupabilità concretizzandosi, come affermato dall’istante, in un percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale, ad avviso della scrivente persegue la finalità di “istruzione”, così come richiesto dalla citata disposizione di cui all’articolo 51, comma 2, lett. f), del TUIR e, conseguentemente, non genererà, nei confronti dei dipendenti della società istante, alcun reddito di lavoro dipendente imponibile ai sensi del comma 1 del medesimo articolo”. Considerazioni conclusive La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate è senz’altro condivisibile in quanto la formazione del lavoratore può senz’altro essere inclusa nella nozione ampia di istruzione accolta dal legislatore tributario e declinata dall’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR. Tuttavia, ci si chiede se effettivamente ciò possa valere per la formazione che viene svolta per motivi strettamente professionali. Si pensi, ad esempio, alla classica ipotesi di aggiornamento dei macchinari utilizzati da un’impresa con la conseguente necessità di istruire i lavoratori all’utilizzo degli stessi. Ma, più in generale, alla formazione che può essere qualifica professionale in senso stretto. In tali ipotesi, ad avviso di chi scrive, non si dovrebbe porre un tema di potenziale tassazione in capo al lavoratore dato che la messa a disposizione del servizio risponde sicuramente ad un prevalente interesse datoriale. Al contrario, quando la formazione non è strettamente professionale (si pensi a corsi di lingue o a formazione sulle soft skills) allora il richiamo alla citata lettera f) potrebbe essere più pertinente. Si potrebbe obiettare che la conclusione è la medesima (ossia assenza di tassazione), ma in realtà l’inquadramento comporta profonde differenze; su tutte la non necessità di rispettare le menzionate condizioni di applicabilità dell’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR.