Nell’impianto del disegno di legge di Bilancio 2020, ora all’esame del Senato, si prevede l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di uno specifico Fondo per la disabilità e la non autosufficienza, con una dotazione pari a 50 milioni di euro per l’anno 2020, a 200 milioni di euro per l’anno 2021, a 300 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022. Finalità del fondo La finalità è quella di dare attuazione a interventi in materia a favore della disabilità finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alla disabilità e alla non autosufficienza. Gli interventi previsti verranno attuati con appositi provvedimenti normativi. Va sottolineato come il “rischio di non autosufficienza”, soprattutto per effetto dell’accentuato fenomeno di invecchiamento che caratterizza il nostro Paese, rappresenti uno dei profili di maggiore criticità tendenziale del nostro Stato sociale. Secondo le recenti stime della Ragioneria generale dello Stato il rapporto fra spesa per LTC - long term care (n.d.r. non autosufficienza) e PIL passa dall’1,7% del 2018 al 2,7% del 2070. Come sottolineava uno degli ultimi Rapporti annuali dell’INPS a partire dagli anni ’90, diversi Paesi europei (in particolare Svezia, Francia, Belgio, Spagna, Polonia) hanno iniziato ad introdurre servizi di natura sociosanitaria rivolti specificamente alla popolazione anziana non autosufficiente, modificando il precedente e tradizionale approccio basato su tre pilastri quali, il sistema pensionistico, il sistema sanitario e il supporto familiare. L’Italia appare invece in forte ritardo nel processo di adeguamento del proprio sistema di servizi pubblici per la non autosufficienza. Tra le possibili soluzioni per affrontate la delicata esigenza vi sono allora sempre più anche quelle offerte dagli strumenti di welfare aziendale. Rischio di non autosufficienza E’ utile partire dal recente ritratto fornito dal 1° Rapporto Censis-Tendercapital che analizza il fenomeno dell’invecchiamento in termini di “silver economy”. Partendo dai profili demografici emerge come negli ultimi dieci anni nel nostro Paese si hanno +1,8 milioni di persone con almeno 65 anni (cifra pari alla somma degli abitanti di Napoli e Torino) e +1 milione e oltre di persone con 80 anni e più (pari alla somma degli abitanti di Palermo e Firenze). Di contro diminuisce il numero dei giovani fino a 34 anni (-1,5 milioni) ed il dato sulle nascite è ben il -23,7%. Le previsioni per il 2051 stimano che dagli attuali 13,7 milioni di anziani, pari al 22,8% del totale della popolazione, si passerà a 19,6 milioni, per una incidenza sul totale della popolazione che sarà pari al 33,2% e un incremento percentuale del +42,4%, con un dato complessivo della popolazione pari al -4,1%. Per comprendere la “sensibilità” nei confronti della non autosufficienza è importante anche evidenziare come nel “percepito collettivo del cittadino italiano si diventa anziani non quando si va in pensione o si raggiunge una determinata età anagrafica, ma se e quando si diventa dipendenti da altre persone nelle ordinarie attività quotidiane, incluse le più intime. Andando allora alla quantificazione puntuale del fenomeno sono oltre 2,8 milioni gli anziani non autosufficienti; il 20,7% degli anziani, l’81% del totale dei non autosufficienti in Italia. Il rischio cresce con l’età e supera il 40% oltre gli ottanta anni. Rete di protezione familiare Numeri che danno conto degli elevatissimi fabbisogni assistenziali che sono stati coperti in questi anni fondamentalmente dalle famiglie che garantiscono care diretto, in particolare mogli e figlie in 7 casi su 10 e/o trasferiscono una parte del care a circa 1 milione di badanti con una spesa annua per retribuzione stimata in circa 9 miliardi di euro. E’ il modello italiano di welfare familiare e privato, sottolinea il Rapporto, che è stato sinora efficace nel tempo, supplendo al pubblico. Però ora il modello italiano scricchiola perché c’è troppa pressione su famiglie che sono peraltro destinate a ridursi ulteriormente in termini di numero di membri. Le spese sono finanziate con le pensioni e i risparmi degli anziani, ma sono 918 mila le reti familiari i cui membri si sono tassati per pagare badante ed altre spese, 336 mila quelle che hanno dovuto dar fondo a tutti i risparmi e 154 mila quelle che si sono indebitate. Sono poi troppi ancora gli esclusi. Circa 1 milione di anziani con gravi limitazioni funzionali non beneficia di assistenza sanitaria domiciliare, 382 mila non autosufficienti non hanno né assistenza sanitaria né aiuti di alcun genere, 1,6 milioni di longevi con limitazioni funzionali lievi e gravi hanno solo aiuti non sanitari. Oltre 2,7 milioni di anziani vivono poi in abitazioni non adeguate alla condizione di ridotta mobilità e che avrebbero bisogno di lavori infrastrutturali per adeguarli, 1,2 milioni quelli che vivono in abitazioni inadeguate e non adeguabili. Secondo l’indagine il Servizio sanitario e il welfare in generale non sembrano essere né pronti né adatti a coprire i fabbisogni assistenziali complessi dei non autosufficienti. Il 56% degli italiani è insoddisfatto dei servizi sociosanitari per non autosufficienti sul territorio. Non bastano i 12,4 miliardi di spesa pubblica per long term care di cui 2,4 miliardi per cure domiciliari, che è pari al 10,8% della spesa sanitaria complessiva ed è comunque inferiore al dato UE del 15,4%. L’unico strumento pubblico di integrazione dei redditi familiari è l’indennità di accompagnamento pari ad una spesa complessiva di 11,3 miliardi e conferisce alla persona beneficiaria un importo dal valore di 517,89 euro mensili. Non sorprende quindi, sottolinea il Rapporto, che il 75,6% degli italiani, che arriva al 77,3% tra gli anziani, chieda più agevolazioni fiscali per chi assume badanti. Soluzioni di welfare aziendale Accanto all’intervento del pubblico vi sono poi sostegni offerti dal mercato assicurativo e dalla contrattazione collettiva con l’utilizzo di soluzioni di welfare aziendale. Come sottolinea il 2° Rapporto Osservatorio Long term care del Cergas della Bocconi guardando agli attori del sistema e necessario operare una distinzione di base, ovvero cioè distinguere tra le polizze sottoscritte a titolo individuale (dal singolo cittadino) o a titolo collettivo (quindi tramite un intermediario, tipicamente azienda o datore di lavoro). Nel caso di una sottoscrizione collettiva (quindi tramite azienda o altro strumento come contratto collettivo nazionale di lavoro, è il caso del settore assicurativo o bancario) si ha il passaggio ad un soggetto intermedio che potrà essere una società di mutuo soccorso, una cassa mutua o un fondo assicurativo, che tramite una compagnia andranno a proporre un prodotto assicurativo collettivo studiato ad hoc. Il modo in cui fondi pensione, fondi sanitari e casse si sono organizzati per la gestione dei prodotti legati alla LTC e diversificato. Alcuni fondi pensione (in particolare i fondi negoziali) offrono la possibilità di scegliere, al momento del pensionamento, una rendita con l’opzione LTC; ad esempio in questo caso la rendita pagata periodicamente dal fondo raddoppia nel caso in cui sopraggiungano situazioni di non autosufficienza. Altri fondi pensione (in genere i fondi aperti) offrono la possibilità di attivare, anche prima del pensionamento, una polizza LTC tra le cosiddette “prestazioni accessorie” che possono essere acquistate separatamente dagli iscritti. I fondi sanitari, prosegue l’Osservatorio, erogano prestazioni di LTC agli iscritti che perdono la propria autosufficienza attraverso due modalità versando delle somme in un’unica soluzione o periodicamente, oppure coprendo direttamente o indirettamente le spese che dovrebbero esser sostenute dall’iscritto. Le Casse di previdenza hanno previsto per i loro iscritti con determinati requisiti l’attivazione automatica e senza costi aggiuntivi di una polizza LTC, che, in caso di perdita di autosufficienza, supporta l’iscritto grazie al versamento di un assegno mensile. Nell’ambito del welfare aziendale va ricordato come la legge di Bilancio 2017 ha novellato l’art. 51, comma 2 del TUIR disponendo, alla lett f-quater) che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiano aventi per oggetto il rischio di gravi patologie”. In base a tale disposizione, pertanto, sono esenti esclusivamente i contributi e i premi versati per le polizze di “Long Term Care” e di “Dread Disease”, ovvero per le polizze volte ad assicurare le terapie di lungo corso e le malattie gravi.