Con le risposte n. 98 e 99 del 19 gennaio 2023, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che sono assoggettati a imposizione in Italia i redditi da lavoro dipendente prodotti in smart working nel nostro paese da un soggetto italiano residente all'estero. Ai sensi dell'art. 2, comma 2, del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d'imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Ai sensi del comma 2-bis del citato art. 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto Ministeriale 4 maggio 1999. Come chiarito nel paragrafo 2 della circolare del Ministero Finanze del 24 giugno 1999, n. 140, la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l'effettività della nuova residenza. Il predetto comma 2-bis non ha creato un ulteriore status di residenza fiscale bensì, attraverso l'introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l'onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti trasferiti, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali. Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all'AIRE, nei confronti di cittadini italiani trasferiti in territori aventi un regime fiscale privilegiato continua a sussistere una presunzione (relativa) di residenza fiscale in Italia per effetto del citato art. 2, comma 2-bis del TUIR. Sul piano della normativa interna, ciò comporta che il contribuente continui, salvo prova contraria, ad essere considerato residente in Italia ed ivi assoggettato a imposizione in relazione a tutti i redditi ovunque prodotti (cfr. art. 3 del TUIR). Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, altresì, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall'Italia con gli Stati esteri. Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è pacificamente riconosciuto nell'ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall'art. 169 del TUIR e dall'art. 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Nei due casi esaminati, l'Amministrazione finanziaria richiama le cd. "tie breaker rules" - contenute nelle apposite Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni - per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti. Dette regole fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità. Nel caso della Svizzera, il Trattato internazionale reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell'anno d'imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all'altro nel corso dell'anno (cfr. art. 4, paragrafo 4, della Convenzione). In particolare, il citato art. 4, paragrafo 4, della Convenzione prevede che "la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all'altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L'assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell'altro Stato a decorrere dalla stessa data". Ciò posto, si osserva come una persona fisica iscritta all'AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell'emergenza Covid è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne se risulta avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d'imposta. Qualora si verificasse un conflitto di residenza con lo Stato estero, questo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai citati criteri convenzionali. In tale ipotesi, come anche indicato al paragrafo 44 dell'analisi effettuata dal Segretariato OCSE sui trattati e l'impatto della crisi da Covid-19, nel caso in cui il soggetto disponga di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati, occorrerà verificare gli altri criteri; il conflitto di residenza sarà solitamente risolto usando il criterio del "soggiorno abituale". Con specifico riferimento al criterio del "soggiorno abituale", si richiama il paragrafo 19 del Commentario del Modello OCSE, in cui si precisa che il test per dirimere il conflitto di residenza non sarà soddisfatto semplicemente determinando in quale dei due Stati contraenti l'individuo ha trascorso più giorni durante il periodo interessato. Al fine di stabilire il luogo del soggiorno abituale, occorre infatti tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo. Inoltre, l'analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per poter accertare tali aspetti evitando l'influenza di situazioni transitorie. L'analisi del Segretariato dell'OCSE, del 3 aprile 2020 e successivamente aggiornata il 21 gennaio 2021, ha focalizzato l'attenzione sull'impatto che le misure sanitarie restrittive, adottate dai Paesi a seguito della pandemia, hanno sui Trattati internazionali. Nel documento si precisa che l'analisi ivi contenuta rappresenta il punto di vista del Segretariato sull'interpretazione delle disposizioni dei Trattati fiscali, riconoscendo ad ogni giurisdizione la possibilità di adottare proprie indicazioni per fornire certezza fiscale ai contribuenti. La competente autorità fiscale italiana ha tenuto conto dell'analisi svolta dal Segretariato dell'OCSE concludendo degli Accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell'articolo 15 (lavoro subordinato) delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni con l'Austria, la Francia e la Svizzera; ossia con gli Stati limitrofi rispetto ai quali l'incidenza della mobilità transfrontaliera dei lavoratori è particolarmente significativa. Gli accordi sono tesi a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione delle persone, dovute all'emergenza Covid-19, nei confronti dei lavoratori dipendenti residenti in uno Stato contraente i suddetti Trattati. Tali lavoratori svolgono abitualmente la loro attività nell'altro Stato contraente ma, a motivo delle misure sanitarie causate dall'emergenza Covid-19, sono costretti o esortati temporaneamente a lavorare nello Stato di residenza oppure, nel caso dei frontalieri, anche a restare nello Stato di svolgimento dell'attività lavorativa senza rientrare con cadenza giornaliera nello Stato di residenza. Gli orientamenti contenuti nell'analisi svolta dal Segretariato dell'OCSE sono stati accolti dall'Italia, allo stato, unicamente sulla base e nei limiti dei menzionati accordi amministrativi. Pertanto, i citati accordi amichevoli stipulati dal nostro Paese con Austria, Francia e Svizzera non possano esplicare effetti anche nei confronti di altri Stati con i quali l'Italia ha stipulato Convenzioni per evitare le doppie imposizioni.